Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film
Se nella Roma di De Sica era la bicletta, nella tokyo di Kurosawa è la pistola: un poliziotto privato di questa è conseguentemente privato del suo status riconosciutogli dalla società, ridotto al rango di cane randagio, del tutto impotente e in balia degli eventi, praticamente evirato. Urge allora tentare l'impossibile per ritrovarla e riacquisire il proprio ruolo. L'influenza del neorealismo italiano è anche nel freddo ritratto dei bassifondi della città e della loro fauna, oltre ai luoghi di ritrovo di massa come lo stadio, luogo di sfogo delle frustrazioni post belliche. Kurosawa è un'umanista e in ogni suo film conferisce all'uomo un grande dovere etico a cui deve attenersi: il bene e il male stanno prima di tutto nelle sue scelte, a lui la libera decisione sul partito da prendere con tutte le annesse conseguenze di cui si dovrà far carico. Dopo il tassesco duello finale tuttavia si vede la pietà e l'empatia del regista nell'indulgere sul pianto del ladro, non rimanendogli altro che una disperazione inconsolabile vista l'impossibilità di un'altra chance.
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