Regia di Shohei Imamura vedi scheda film
Kinta è un pesce piccolo di una banda di gangster e sogna di scalare i vertici; la fidanzata Haruko vorrebbe che si cercasse un lavoro onesto; in città, intanto, la presenza dei soldati americani alimenta la prostituzione. In tempi in cui Hollywood depura la cattiva coscienza USA osando al massimo film come Sayonara (1957) di Joshua Logan, Imamura raffigura senza sconti la vita nel Giappone occupato, usando toni crudi (c’è una scena di stupro collettivo) ma senza disdegnare inserti comici: il sottofinale con l’invasione dei maiali è grottesco, e sospetto che l’episodio del bandito che si crede malato di cancro per uno scambio di radiografie sia una velata parodia di L’angelo ubriaco (1948) di Kurosawa. Se il personaggio di Kinta resta irrimediabilmente prigioniero della propria mediocrità, quello di Haruko conserva anche nel fango una dignità ammirevole (De Palma in Carlito’s way si sarà ricordato della scena in cui lei lo attende invano alla stazione per prendere l’ultimo treno? chissà...): la conclusione, giustamente, è per lei.
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