Regia di Ugo Tognazzi vedi scheda film
Tognazzi regista è stato certamente sottovalutato e questo film ne è una delle prove più evidenti (inferiore forse soltanto a Sissignore di due anni più tardi). Il fischio al naso è la sua seconda prova dietro la macchina da presa (Il mantenuto aveva però lasciato un po' interdetti) e già le potenzialità - pulizia, linearità, sobrietà - del Tognazzi-regista sono ben visibili. Fra l'altro, pur scegliendosi come protagonista, non si lascia andare a facili, egocentrici narcisismi. Colpisce inoltre la singolare scelta dei soggetti: questo è un racconto di Buzzati, ma ben si accosta a quelli di Sissignore e dei Viaggiatori della sera, dalle trame altrettanto claustrofobiche, kafkiane e con un tocco di cinismo e misantropia. Il viaggio di Inzerna all'interno della clinica, con simbolica 'ascesa' verso l'ultimo piano (e stadio del suo malessere, cioè la vita in sè), è una chiara ed efficace metafora della sensazione di inevitabilità che accompagna il percorso esistenziale, con relativi stati d'animo a variare di piano/stadio in piano/stadio: la rassegnazione sarà l'ultimo, prima del passo finale. Particina di Marco Ferreri.
Un piccolo industriale ha un fastidioso fischio al naso; di passaggio in una clinica per motivi di lavoro, viene esortato a fare una visitina veloce per eliminare il disturbo. L'uomo accetta, ma, una volta entrato, non sarà facile uscire dall'ospedale.
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