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Vivere

Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film

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La recensione su Vivere

di Antisistema
10 stelle

Akira Kurosawa viene considerato dalla critica come il più grande regista Giapponese e uno dei più grandi maestri della settima arte. Il regista nipponico famoso in occidente per le sue opere ambientate in varie epoche storiche del Giappone, in occidente riscuotevano plauso e grande consenso critico. C'è un filone della produzione del maestro, che invece era ambientata nel Giappone contemporaneo e che aveva chiara ispirazione verso i film neo-realisti italiani (a cominciare dall'Angelo Ubriaco del 1948); solo che tali pellicole non incontravano molto successo di pubblico e la critica occidenale tendeva a relegarle in secondo piano rispetto ai suoi lavori in costume (gli stessi produttori Giapponesi d'altronde preferivano esportare all'estero nei festival film in costume e non opere ambientate nel Giappone contemporaneo, per paura di una cattiva pubblicità del paese all'estero). Il critico Aldo Tassone traccia una sorta di what if nel Castoro dedicato a Kurosawa, riguardante la diversa percezione critica, se gli addetti ai lavori invece di consegnare il Leone d'Oro a Rashomon a Venezia, avessero premiato con tale massimo riconoscimento un film come l'Angelo Ubriaco e Vivere (1952), e siccome di recente ho visto questo film, ho deciso che è ora di parlarne anche su FilmTv. 

 


Le giornate scorrono tutte uguali per l'impiegato Watanabe. Circondato da centinaia di migliaia di fogli giallastri, se ne sta curvo su se stesso, con la faccia inespressiva, a timbrare documenti su documenti per tutta la vita. Per più di trent'anni, in un ufficio comunale come tanti altri, nel caotico Giappone in fase di industrializzazione, Watanabe ripete continuamente lo stesso gesto. Al di là di quel movimento meccanico, c'è l'indifferenza del figlio e dei colleghi di lavoro. Tuttavia, un giorno come tanti altri, arriva l'incombenza della morte, sottoforma di dolori addominali e a Watanabe,non restano altro che soli 6 mesi di vita.Cosa potrà mai fare adesso ora che si è reso conto di non aver mai vissuto? Potrà riuscire nell'ardua impresa di dare un senso in così poco tempo alla sua non-vita?

 

scena

Vivere (1952): scena

Come suggerisce il titolo, "Vivere", è una grande metafora della condizione dell'uomo moderno. Non si applica solamente al Giappone del dopoguerra, frenetico, competitivo, in cui si doveva ricostruire tutto partendo da zero; quella di Kurosawa è un'analisi più ampia, che riguarda anche noi e la nostra società (sembra un pò l'Italia odierna quando devi andare in un ufficio della Pubblica Amministrazione per fare delle pratiche); quella dei giochi di potere e dell'indifferenza, nella quale le istituzioni sono sommerse da un apparato burocratico dalle sembianze mostruose, che soffoca le iniziative dei singoli e avvantaggia i soliti uomini di potere, che vogliono conservare il loro posto di lavoro. La riflessione del regista avviene in modo diretto, attraverso l'analisi della presa di coscienza di Watanabe (Takashi Shimura mimetico nella sofferenza inesorabile del suo personaggio, dalla quale cerca di trovare un barlume di senso prima dll'inevitabile fine derivante dal decorso della malattia)
Quest'ultimo compirà in seguito ad essa: in un primo momento, egli capirà che il figlio non l'ha mai amato, e che l'ha sempre visto come un conto in banca vivente, non come un padre; dopo aver fatto conoscenza di uno scrittore fallito, il morituro verrà guidato nell'inferno dei divertimenti urbani fino ad allora ignorati: prostitute, sobborghi sovrappopolati in decadenza, alcool, Pachinko... che sia questo il vero valore della vita? Kurosawa si spinge ben oltre la semplice retorica/morale buonista. Colpisce direttamente la società giapponese (e non) al suo nocciolo, dimostra che anche dei piccoli gesti, delle piccole imprese, possono in qualche modo galvanizzare degli automi assuefatti dalla carriera e dal consumismo. L'uomo deve maturare una volontà, deve avere il coraggio di cambiare le cose, altrimenti c'è il nulla, quel vuoto peggiore della morte; quella morte che nel film ha valenza positiva, in quanto è l'unica cosa che in qualche modo riesce ad indurre un cambiamento, seppure minimo, in Watanabe e nelle persone che lo circondano. 

scena

Vivere (1952): scena


Forse, Watanabe, con la sua improvvisa presa di coscienza, riesce a recuperare l'idealità dell'infanzia perduta ("quando sto con te mi sento come se fossi tornato bambino" dice ad una sua collega con la quale, finalmente, si decide a prendere un appuntamento). Anche il suo commovente gesto finale in qualche modo lo raffigura come un novello bambino che, iniziando a vedere le cose ordinarie con meraviglia, è riuscito,almeno nella morte, a sconfiggere il grigiore opprimente che l'aveva reso un automa. 
Il film è basato per la maggior parte sui dialoghi. La regia utilizza tecniche di ripresa opprimenti, momenti di silenzio e inquadrature di spazi ristretti, trasmettendo efficacemente allo spettatore le sensazioni provate dal povero, disilluso e afflitto protagonista. Ci si chiede se veramente, un giorno, i freddi meccanismi di cui egli è vittima non imprigionino anche noi; e se essi, sempre quel maledetto giorno, non ci facciano diventare delle marionette incapaci di uscire dalla loro condizione di non-felicità. 
In definitiva, Vivere è un film molto profondo, che racconta un dramma attualissimo in modo assolutamente semplice, con riflessioni, sguardi, gesti, grande cinema che chiama in causa anche lo spettatore con i suoi contenuti di indubbio spessore, che potrebbero indurre un serio ripensamento sulle priorità della vita di uno spettatore adulto. Detto questo, Vivere rimane uno dei migliori Kurosawa di sempre, collocandosi ai vertici della sua produzione e della settima arte in generale. 

 

scena

Vivere (1952): scena

 

 

Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297

 

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