Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film
Questo lungometraggio ha qualcosa di atipico per il paese in cui è stato prodotto. Di solito, almeno negli anni cinquanta, le tematiche di una pellicola del Sol Levante riguardavano quasi sempre le gesta dei mitici samurai del tardo medioevo, eppure in "Ikiru" c'è un'atmosfera singolare. È quell'aria che si respira nell'introspezione acuta di un Fellini nel periodo d'oro della carriera, o in un toccante testamento della corrente neorealista di De Sica. "Ikiru" ha un'aura occidentale... e questo lo si nota dall'inusuale raffigurazione della città di Tokyo. Night club, sale giochi ed impiegati annoiati con poca voglia di lavorare ne fanno da sfondo. Watanabe, però, è un dipendente diligente, a cui è stato diagnosticato un tumore. La quotidianità non gli dà stimoli. Il protagonista non ha a disposizione una grande rete di relazioni interpersonali ed il figlio è sempre stato distaccato. A questo punto comincia a distrarsi improvvisando nuove esperienze, frequentando la giovanissima collega Toyo (Miki Odagiri). Quando i rapporti si freddano pure con lei, compirà l'ultimo grande gesto: portare avanti il progetto di bonifica di una zona infetta della città. Il cancro libera Watanabe dalla vita futile che ha condotto. Lui non ha niente da perdere quindi le difficoltà politiche, le minacce e i problemi di salute non lo fermeranno. "Anche i grandi uomini prima o poi verranno dimenticati e tutto ricomincerà da capo, come se non fosse successo mai niente"; questo evidentemente è il messaggio trasmesso dall'autore. Il film prende rapidamente una svolta lungo un percorso emotivo in pendenza quando Watanabe viene a sapere della sua dipartita inevitabile. L'"eroe" in questo caso non è un impavido guerriero armato di katana. Certe valorose azioni vengono dunque svolte dalla gente comune: sono individui di cui mai ci si aspetterebbero tali prese di posizione, eppure sono in grado di cambiare le cose. Watanabe, infatti, decide di realizzare qualcosa di apparentemente inattuabile per un gruppo di poveri emarginati, e per farlo ha dato tutto se stesso; è stato allora che ha capito come lasciare la sua eredità. Ovviamente Takashi Shimura si presta con una performance stupefacente. La postura curva della camminata assieme all’encomiabile espressività rendono impossibile non affezionarsi completamente al mesto personaggio. Kurosawa usa brillantemente i primi piani sugli interpreti e l’ambiente circostante: modula incredibilmente lo spazio in ogni fotogramma in termini di giustapposizione visiva tra la rappresentazione principale e lo sfondo. L’estetica è altresì avvalorata da una fotografia dai contrasti pregnanti di Asakazu Nakai. Struggente e sferzante, “Ikiru” sembra un'esplorazione del cinismo nel Giappone del secondo dopoguerra; un'accusa schiacciante contro l'inutilità del sistema burocratico (che ancora una volta una questione universale), ma, soprattutto, è un racconto commovente di una persona qualunque che cerca di dedicarsi a una causa degna, mostrando la precarietà e l'evanescenza dell’esistenza. Akira Kurosawa ha saputo nuovamente entrare magnificamente in contatto con la natura umana attraverso l’arte cinematografica.
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