Regia di Carlos Saura vedi scheda film
Anna (Ana Torrent) è una bambina di dieci anni la cui infanzia è stata intristita dalla morte prematura della madre (Geraldine Chaplin) e dalla presenza autoritaria del padre (Hèctor Alterio), un alto ufficiale dell’esercito franchista. Ha altre due sorelle Anna, Irene (Conchi Pèrez) e Maite (Maite Sanchez), con le quali trascorre le uniche ore veramente spensierate nella grande casa dove vivono. Con la morte del padre, a prendersi cura delle tre sorelle è la zia Paulina (Mònica Randall), che insieme all’anziana nonna (Josefina Diaz), costretta sulla sedia a rotelle e ormai impossibilitata a parlare, si trasferiscono stabilmente con le bambine. Aiutata nelle faccende di casa dalla domestica Rosa (Florinda Chico), Paulina cerca di sostituirsi alla defunta sorella e di non far mancare alle nipoti l’affetto filiale. Ma ad Anna non vanno bene i suoi modi di imporre le regole. Gli manca la dolcezza eterea della madre, uccisa da un male misterioso e dai continui tradimenti del marito.
“Crìa Cuervos” di Carlos Saura è un film attraversato da un clima di dolente mestizia, intriso di simboli e caratteri iconici, molto più politico di quello che sembra. Un’opera che usa il resoconto esistenziale di una bambina infelice per riflettere sulla condizione politica della Spagna durante gli ultimi anni del regime di Francisco Franco. Già il titolo è emblematico (che detto per esteso significa “Alleva corvi e ti caveranno gli occhi”), così come le zampe di pennuto poste nel frigo (che ad esso evidentemente si collega) su cui spesso la macchina da presa focalizza la sua morbosa attenzione. Segnali “sinistri” che, assieme a conferire al film un percepibile alone di mistero, suonano come un invito a guardare le cose non solo nel modo in cui ci appaiono nella loro immediata evidenza. Sono infatti gli occhioni sempre svegli della piccola Anna un tratto distintivo del film, gli stessi che gli consentono, una volta adulta, di ricordare con più chiarezza e lucidità i tratti salienti che hanno reso infelice la sua infanzia.
Dopo aver visto “Crìa Cuervos” è impossibile non scorgere punti di contatto con “Lo spirito dell’alveare” di Victor Erice. Innanzitutto, la presenza dominante della piccola Ana Torrent, dei bellissimi occhi di questa bambina che in entrambi i film sta a rappresentare quell’allegra ingenuità messa continuamente in discussione dalle scosse telluriche provenienti dal mondo dei grandi. Poi c’è il rapporto disarmonico con i genitori, troppo presi da guai personali o da passioni ossessive per poter dedicare il tempo necessario alla crescita dei propri figli. Il senso di morte che percorre entrambe le pellicole, che assume il senso di un gioco praticato come per voler ergersi a giudice unico del proprio destino. Infine, il sotto testo politico, che in maniera molto sottile agisce come una denuncia compiuta a bassa intensità contro il regime franchista. È appunto dal rapporto armonico degli aspetti già indicati che si può ricavare una lettura politica in entrambi i film, che è possibile scorgere delle similitudini concrete tra le vite disorientate di questi bambini costretti a crescere senza la guida protettiva dei genitori e i disordini generati sulle sorti di un intero popolo dalla dittatura “claudicante” del Caudillo Franco. Costringendomi ad essere sintetico, nel film di Victor Erice è il Cinema stesso ad iniettare il seme della ribellione attraverso la conoscenza dell’altro da sé. Dopo la visione del “Frankenstein” di Robert Whale, Ana è portata ad identificare il mostro con un soldato repubblicano nascosto in un vecchio casolare. Questo processo mentale insorto in lei in una maniera molto naturale, non solo la porta a capire che il “diverso” non è sempre come viene dipinto dal senso comune dominante, ma anche a lasciarsi contagiare dal fascino indiscreto delle idee non allineate. In questo film di Carlos Saura, invece, la denuncia politica è tutta contenuta nella dichiarata infelicità della piccola Anna, nel suo rifiuto calcolato di falsificare la verità dei propri sentimenti, di godere della sua età lasciandosi scivolare le cose addosso. È questo suo imparare a convivere molto prematuramente con il male di vivere a indurre a ritenere che solo in uno stato di più generale degenerazione morale è possibile scorgere i germi originari di tale fragilità emotiva. L’infelicità di cui si sente vittima Anna è il frutto di profonde disarmonie domestiche, di un’atmosfera di latente dispotismo che popola la casa in ogni suo spazio. Anna vive e respira continuamente quest’aria di apparente normalità ed è attraverso essa che permea il suo modo di pensare al mondo di fuori,di farsi il riflesso più autentico delle sue laceranti contraddizioni.
La regia di Carlos Saura asseconda il flusso della memoria di Anna, che una volta adulta torna con la mente sui luoghi della sua infanzia e all’origine della sofferenza della madre per mano di un padre autoritario. Si passa tra passato e presente senza soluzione di continuità, tra gli episodi di vita vissuta di una bambina triste e i tentativi di una persona adulta di dare un senso a quel suo disordine psicologico. Tutto racchiuso in un arco temporale di pochi mesi, quelli che bastano alla piccola Anna per maturare un profondo disprezzo per le persone che hanno fatto tanto soffrire lei e la sua mamma (per un processo di identificazione emotiva che non a caso porta Geraldine Chaplin ad interpretare il doppio ruolo della madre e di Anna adulta) e di maturare l’insana sensazione di potersi prendere la desiderata vendetta. È proprio il modo in cui è architettata la messinscena, con delle dimensioni spazio-temporali ben delimitate e dei caratteri iconici ben delineati, a far pensare a “Crìa Cuervos” come a un film metafora sugli ultimi anni del regime dittatoriale di Francisco Franco. Detto altrimenti, ogni personaggio che popola la casa può, tanto servire allo scopo di contribuire alla buona riuscita di una storia ben raccontata, quanto assumere la veste simbolica di un carattere tipico della società spagnola coeva. Il padre militare è il despota autoritario che incide sulle vite degli altri con impunita arbitrarietà. La madre incarna un paese che è morto dentro, reso succube da un dolore che tra origine dalle sue stesse debolezze emotive. La nonna inferma è la monarchia che non può che rimanere muta al cospetto del suo comprovato immobilismo. La domestica incarna il suddito “cortigiano” sempre attento a rimanere in sella quale che sia il volto dei padroni. La zia è il nuovo potere che avanza, certamente meno dittatoriale ma sempre incline a far valere la sua autorevolezza. Le due sorelle rappresentano il popolo minuto, portato a vivere la sua sorte con inconsapevole rassegnazione. Anna è la ribellione necessaria che si illude di combattere i nemici designati con lo stesso veleno che il mondo dei grandi gli ha iniettato in corpo.
“Crìa Cuervos” è un grande film, e anche se non raggiunge il livello poetico e formale de” Lo spirito dell’alveare”, merita come il capolavoro di Victor Erice di essere recuperato dall’oblio in cui si trova.
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