Regia di Joseph L. Mankiewicz vedi scheda film
Come altri film di Mankievicz, anche questo soffre di prolissità, verbosità, pedanteria. Troppe parole, sequenze interminabili, dialoghi e voci narranti a profusione. Resta comunque un convincente spaccato della miseria morale dominante il mondo dello spettacolo (anche se meno brillante e velenoso di "Eva contro Eva", ma lì c'era Bette Davis e il veleno era inevitabile), nonchè una mesta e fatalista riflessione sull'infelicità, sull'orgoglio maschile contrapposto alla sensibilità femminile, sull'ineluttabilità della tragedia. Resta la suggestione dei luoghi, la classe di Bogart, lo splendore della Gardner, alcuni dialoghi irresistibili e soprattutto una sequenza: quella in cui la futura contessa balla in un villaggio di zingari, l'unica peraltro in cui la si vede all'opera nella sua virtù artistica principale, ossia la danza. Forse l'unico momento in cui ella è stata felice. Non spenderei troppe parole sull'elaborata struttura a multi-flashback, in quanto anzichè raffinare, ingolfa solamente un ritmo narrativo già di per sè pachidermico: non scomoderei certo Welles, che stava davvero su un altro pianeta.
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