Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film
Il cinema giapponese è davvero una miniera di grandi film. Lo testimonia "La storia di Oharu", che sarà anche stata una donna galante, ma la cui vicenda ricalca in realtà la tristissima storia delle eroine più sfortunate della letteratura mondiale (il soggetto è tratto da un romanzo dello scrittore del XVII secolo Saikaku Ihara). I suoi sono, infatti, infortuni sulla strada della virtù: figlia di un samurai, Oharu cede all'amore impossibile, almeno all'epoca, per un semplice paggio (Mifune); scoperta la tresca, la giovane è esiliata da Kyoto insieme alla sua famiglia, ormai irrimediabilmente macchiata; scelta come concubina del nobile Matsudaira allo scopo di dargli un figlio maschio, è scacciata dalla casa dopo avere assolto al compito affidatole; venduta a un bordello dal padre per saldare i suoi debiti, viene riscattata da un onesto artigiano che però muore troppo presto. Dopo una serie inenarrabile di peripezie, che comprendono anche l'impraticabile via dell'ascesi religiosa, la donna finirà a vendere il proprio corpo, nemmeno più giovane, per strada, dopo avere soltanto intravisto il figlio da lei generato, ormai diventato un grande signore.
Il film di Mizoguchi è affascinante per la materia trattata, un Seicento imbalsamato in un viluppo incancrenito di usanze e fossilizzato in un sistema di caste che all'epoca era inscalfibile, ma anche per l'arte cinematografica adottata, fatta di lunghe inquadrature incardinate in piani sequenza che rendono giustizia alla trama e alla psicologia dei personaggi e che miracolosamente riescono a non annoiare mai. E' da apprezzare anche l'intelligente struttura circolare di tutto il film, che si riproduce, in piccolo, in ogni singolo frammento che compone la personalissima via crucis di Oharu, fatto di una illusoria ascesa e di un'inevitabile quanto incolpevole caduta, e che alla fine riporta il personaggio principale, uno dei più tragici che ci è dato di ricordare (in quanto le è negato ogni sia pur minimo riscatto finale), alla situazione dalla quale il film era partito.
"La vita di Oharu, donna galante", interpretato da una bravissima (e purtroppo poco conosciuta) Kinuyo Tanaka e, in una parte abbastanza breve, da un giovane e quasi irriconoscibile Toshirô Mifune, è un film amorale nel senso migliore del termine, dal momento che rifiuta di dare allo spettatore coordinate etiche in senso classico da rispettare: nonostante che la protagonista scelga sempre la soluzione (se non migliore) più praticabile al momento, le sue buone intenzioni e la sua onestà non vengono mai premiate ed anzi sono severamente punite dai rigidi custodi di un ordine sociale che per fortuna, almeno in Giappone, così come a casa nostra, è stato spazzato via dalla storia.
Un maestro. Pochi hanno saputo, come lui, utilizzare il piano-sequenza per costruire sequenze dense di significati psicologici e drammatici. Un Maestro.
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