Regia di Tobe Hooper vedi scheda film
Orgogliosamente vietato ai minori, cancellato dalla programmazione in molti cinema americani a causa dell’eccessiva violenza mostrata e messo anche al bando in diversi paesi, con The Texas Chainsaw Massacre (in italiano Non aprite quella porta) l’esordiente Tobe Hooper (Quel motel vicino alla palude, Poltergeist, Il tunnel dell’orrore, Space Vampires, Invaders, The Mangler) diventerà immediatamente un regista di culto, probabilmente ben oltre le sue effettive capacità, e con il passare del tempo sarà inequivocabile la sua influenza sul genere gore.
Girato nel suo Texas con un budget bassissimo, osteggiato dalla censura che lo qualificò come uno dei film più violenti mai realizzati (ma forse questa parte faceva parte del marketing), Non aprite quella porta è un film estremamente sgradevole, perverso e malato, grottesco figliastro di Psycho che si ispira, seppur in maniera molto pretestuosa, alle vicende dei serial killer Ed Gein e Elmer Wayne Henley, riuscendo comunque a definire i contorni di un modello narrativo che avrebbe aperto le porte a le altre pellicole che l’avrebbero seguito.
Contorni che si rivelavano fin dall’inizio, col primo piano di un cadavere messo in posa sopra a una tomba, e descrivendo una follia abietta priva di qualsiasi giustificazione, anche perché è la società intera ad essere tale (le notizie poco confortanti dalla radio su una violenza ormai dilagante), e a Tobe Hopper non importa molto elargire al pubblico le motivazione psicologica su quello che sta succedendo, come non gli interessa rendere umani sia vittime che carnefici, anzi mettendo tutti sullo stesso piano.
Nel film ritroviamo tutti i topoi classici dello slasher: il viaggio iniziale/iniziatico, il luogo circoscritto in cui si svolge il massacro, vittime che corrispondono quasi sempre a degli adolescenti, il boogeyman antagonista dei ragazzi spesso mascherato o deforme (o entrambi), la violenza esplicita, volutamente catartica, e il bodycount, ovvero la conta dei cadaveri oltre al binomio sesso & morte per poi finire alla definizione di “final girl”.
A sopravvivere, come nella maggior parte degli slasher successivi, è infatti una ragazza, di solito la più innocente del gruppo, in quanto è proprio la purezza a contrastare il male assoluto del mostro/i, indifesa protagonista capace però di opporsi strenuamente.
Ma da The Texas Chainsaw Massacre in avanti il vero marchio distintivo di uno slasher sarà però l’antagonista, per il pubblico il “vero” protagonista di questo genere di pellicole, il personaggio con cui identificarsi o per cui fare, addirittura, il tifo in modo così da esorcizzare i propri istinti più spregevole.
A mancare ancora è invece la serialità, ovvero quei sequel, prequel, remake e/o spin-off o quant’altro testimoni il suo essere diventato un fenomeno di successo, anche culturale e/o sociale, dovuto questo principalmente al suo scarso riscontro economico al Box Office.
Sarà infatti soltanto dopo l’enorme successo di Halloween (e relativi sequel) oltre al proliferare di altre pellicole di genere, sempre con un buonissimo riscontro al botteghino indipendentemente dall’effettivo valore del film, che nel 1984 sempre Tobe Hopper ne girerà il sequel.
Una voce narrante avverte il pubblico che l’episodio è realmente accaduto: non è vero (!) ma rimane comunque un’emblematica, raccapricciante storia americana ed è proprio sulla famiglia che Hooper colpisce con più veemenza raffigurandone la follia e la violenza non soltanto verso l’esterno ma anche quella centripeta, verso i suoi stessi componenti, i quali non possono che elaborarne i traumi se non con altra violenza sempre più efferata, di cui il cannibalismo non è altro che la sua manifestazione più estrema.
Eppure, per essere un horror, in The Texas Chainsaw Massacre vengono mostrate pochissime scene di sangue, preferendo giocare invece con l’atmosfera malsana e una sempre più crescente tensione, agevolato in questo, oltre che dal budget irrisorio, da una regia sporca e imperfetta, fatta di inquadrature ravvicinate e morbosi primissimi piani a riprendere l’angoscia delle vittime come anche l’ilarità dissacrante dei loro carnefici, in un contrasto emotivo dissociativo figlio anche delle effettive tensioni che si crearono sul set, tra gli attori (Paul A. Partain, Marilyn Burns,William Vail,Edwin Neal,Teri McMinn,Jim Siedow eGunnar Hansen) e la troupe che, sfibrati dalle infauste condizioni di lavoro, si adoperarono contro il film e lo stesso regista che, cinicamente, sfruttò tale malcontento, secondo alcuni addirittura alimentandolo, per riprendere direttamente su scena tale tensione in modo da rendere la pellicola ancora più credibile.
Film maledetto e allucinato, complice anche la colonna sonora psichedelica, angosciante e imperfetto, con un uso improbabile della macchina da presa e del montaggio, Tobe Hooper con The Texas Chainsaw Massacre inventò, a suo modo, il primo “classico” del genere slasher, con una chiusa finale impetuosa e drastica nel contrappone allo sgomento di una giovane sopravvissuta e alla rabbia di un giovane mostro, il cui “giocattolo” gli è sfuggito tra le dita, un tramonto color pastello indifferente su quanto è successo.
VOTO: 6,5
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