Regia di John Carpenter vedi scheda film
Miscelando le riflessioni orrorifiche sull'omicidio seriale di Psyco con la soggettiva di Un natale rosso sangue (e senza perdere di vista i passi avanti fatti dall'horror negli anni '70), Carpenter crea il primo vero slasher. Michael Myers è l'archetipo del serial killer come incarnazione del male puro: alessitimico, anaffettivo, inarrestabile, inammazzabile e con una specie di dono dell'ubiquità che gli permette di spuntare fuori sempre dagli angoli più bui. Gli omicidi che perpetra diventano la rappresentazione del lato maligno di Halloween: festa pagana posta al centro dell'autunno (ovvero la stagione in cui si ha la discesa nell'oscurità verso l'inverno), non più vista come momento di giovialità, ma come un'orgia di sangue e depravazione che non risparmia nessuno. Anche lo schema degli omicidi è archetipico, coi ragazzini infoiati che vengono fatti a fettine uno dopo l'altro, mentre la santarellina se la cava anche nei momenti peggiori: roba ripresa successivamente giusto un paio di volte (sic!). Oltre ad avere un'importanza storica indiscutibile avendo influenzato l'immaginario collettivo per generazioni generando decine e decine di emuli, conserva ancora oggi dei momenti davvero inquietanti (l'introduzione, con la zucca illuminata e la colonna sonora simil Profondo rosso, ha ancora un notevole impatto, come anche Loomis che si affaccia dalla finestra e vede che il corpo di Michael non c'è più). Ma essendo l'aprifila del genere, bisogna dire che ne presenta già anche i difetti più ingombranti: personaggi abbozzati tanto che quando vengono uccisi di loro frega poco o nulla, un assembramento di "superpoteri" dell'assassino un po' ridondante (e sentire uno psichiatra ripetere ossessivamente che il suo paziente sia il male puro, manco fosse uno stregone vudù invece che un medico, oggi appare abbastanza ridicolo) ed una fase preparatoria eccessivamente dilatata. Resta comunque superiore alla gran parte dei cloni che lo hanno seguito.
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