Regia di John Carpenter vedi scheda film
Per una ridente, tranquilla cittadina americana si aggira l’ “ombra della strega”, in procinto di sfogare le proprie maligne turbe assassine. Probabilmente Carpenter realizza (con penuria di mezzi, ma abbondanza di idee) un capostipite dell’horror, o meglio; di un nuovo filone dell’horror (lo slasher), dacchè soppianta scenari da favola gotica (popolati da creature “non umane”), con contesti più familiari, quasi bucolici (popolati da creature “disumane”), che ritraggono case, auto che passano, strade e viali alberati. In questo modo l’orrore diventa casalingo e si intrufola nella società americana (spielbergman) ed ivi trova terreno fertile per erigere il proprio santuario di sadismo, dove tornare periodicamente per consumare i propri rituali di morte. Carpenter radica una maledizione nel sogno di una piccola comunità borghese di provincia e ne fa un incubo da cui sembra che non ci si possa più svegliare.
Eppure, a ben vedere, benchè si sia detto peste e corna del “povero” Michael Myers, all’atto pratico (e, soprattutto, visto col senno di poi), non è che questi abbia fatto chissà che (se non qualche morto ammazzato, in maniera neanche troppo fantasiosa). Il problema sta proprio in questo. Halloween - La notte delle streghe è un classico invecchiato maluccio (Fanny Sally). Così plagiato in tutto e per tutto, che, se confrontato con gli horror degli ultimi lustri (di cui io, che non sono un amante del genere, mi tengo, a ben vedere, aggiornato solo con trailers e per sentito dire) difficilmente può esercitare una qualche influenza. Prova ne è che pure io (che sto al cinema horror come don Abbondio sta ai bravi di don Rodrigo) sono riuscito a vedere il film per intero, senza scompormi (più di tanto). La tensione è, sì, fitta dal principio (la soggettiva del prologo ci obbliga ad una disagevole identificazione con lo “strano” bambino, ma ho trovato bella spaventosa anche la scena dell’assalto della macchina guidata dalla psichiatra “tollerante”…poverina!) fino alla fine (dato che il corpo di Michael, coerentemente con la sua innaturale insensibilità al dolore, non verrà trovato). In più, Carpenter si dimostra abilissimo nel saper rendere inquietante perfino un soleggiato viale alberato (!!). Tuttavia, a causa del problema di cui si diceva (l’enorme successo riscosso dal film, che gli si è ritorto contro come un boomerang), trovo difficile riuscire, oggi, a credere che il film possa impressionare ancora; che possa impressionare Michael Myers, un losco figuro che va in giro con sul viso una maschera anonima ed immacolata, da cui non potrà mai trasparire alcuna smorfia di ributtante, demoniaca crudeltà. Questa si manifesta, piuttosto, nel gesti efferati del “mostro” in questione, ma quello del coltello insanguinato (o di qualsiasi altro utensile atto ad arrecare danno) è un idioma che, oggi come oggi, bene o male, conosciamo tutti quanti e che difficilmente evocherà gli orrori indicibili di cui va raccontando lo psichiatra che lo aveva in cura (il dott. Loomis/ D. Pleasence).
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