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Halloween. La notte delle streghe

Regia di John Carpenter vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Halloween. La notte delle streghe

di Spielbergman
8 stelle

Eccoci ad analizzare un “guaio” combinato da John Carpenter nel 1978; una specie di big bang per il cinema di genere e (di cassetta) americano, un prototipo nel senso più letterale del termine. Ciò che ho pensato guardando questo “Halloween” del 1978 è che è un film già rivisto dal sottoscritto migliaia di volte nei miei onorati sei-sette anni di carriera da amatore del genere horror (iniziata con “Shining” di Kubrick e “Dracula di Bram Stoker” e proseguita da “Nightmare”): situazioni viste e riviste, una storia che ormai non può più far paura a nessuno, perché di film, cortometraggi e persino anime (cartoni animati) dove le baby-sitter vengono uccise se ne sono visti a bizzeffe. Ecco “dov’è” il guaio di “Halloween” di John Carpenter: che dopo “Halloween” è venuto “Venerdì 13” e dopo ancora “Nightmare”, e ancora “Scream”. Ossia, di storie dell’orrore ambientate nei quartieri lindi e lustri di Hollywood ne abbiamo visti a fiotti. Però alcuni film, anche se non sono pietre miliari essenziali del cinema come quelli di Kubrick, della Novelle Vague o di Coppola, sono per forza film storici che vanno contestualizzati e analizzati. Un bravo cinefilo, a maggior ragione se appassionato di horror slasher, deve invero riverire fino allo sfinimento “Halloween” e, in qualche modo, almeno i primi film della serie. Occorre dire che un altro padre dell’horror, Tobe Hooper, aveva già gettato le basi del genere nel 1974 con “Non Aprite Quella Porta”, e se proprio dobbiamo essere pignoli il concetto moderno di film horror nasce nel ’68 con “La Notte dei Morti Viventi”. Ma il primo era ambientato in una sperduta fattoria del Texas, il secondo in un cimitero, le scene di “Halloween” ritraggono case, auto che passano, strade e viali alberati. L’orrore diventa casalingo e si intrufula nella società americana, il gotico non è più nel castello di Dracula né tantomeno fuori città, nel cimitero; è lì, fra le strade, e a uccidere non c’è più Bela Lugosi con il frak, ma un assassino in carne ed ossa, uno psicopatico come Myers e Leatherface. La dimensione soprannaturale, in teoria, scompare, e “Halloween” è più un thriller alla “Psycho” che non un horror come i film di Romero. Poi certo, thriller non è in effetti perché è nell’horror slasher che occorre mettere un film se ha dentro adolescenti scatenati sterminati dal primo all’ultimo, quartieri lindi che si trasformano in tombe e serial killer indistruttibili (e se, occhio, non c’è ombra di detective in tutto il film…). Però il concetto è che d’ora in poi, per un certo tipo di horror americano, la minaccia diventa casalinga e “quotidiana”, ed ecco perché molta critica (invero inesperta) vede nello “Slasher” un cinema per teen-ager confondendo “Halloween” di Carpenter con “Long Time Dead” o “Final Destination” o che so io (film che comunque rimangono “figli” di Carpenter e Hooper). Ma detto che il film di Carpenter  merita il rispetto che si deve ad un modello “anziano”, non per questo si può dire che anche oggi “Halloween” non spaventi o che non abbia una certa importanza. Innanzitutto, per un b-movie (perché, premessa, dobbiamo dire che b-movie si tratta… e del tipo di b-movie in cui ogni attore aveva tipo cinque o sei mansioni sul set per quanti pochi soldi si aveva a disposizione!), Carpenter si dimostra un vero postmoderno, ossia un grande a livello tecnico, capace di innovazioni creative, di piccole perle da offrire allo spettatore, e poi dirige bene i suoi attori. Infine, cura ogni parte del suo film (in particolare la splendida e disturbante Colonna Sonora) con la voglia di “sfida” al mainstream che l’ha sempre contraddistinto. Tutto ciò giova al film se, nonostante sia pieno di situazioni abusate e ormai sia in qualche modo “superato”, “Halloween” riesce ancora a far venire brividi e a far sorgere nello spettatore l’istinto di gridare ai protagonisti di fare o non fare certe cose… e poi è un film fa emergere ancora una volta la coerenza come autore di Carpenter in quanto ripropone luoghi, situazioni e lo stile di tutti i film di un autore che, con i suoi alti e i suoi bassi, ha sempre regalato bei pezzi di cinema. Questo perché anche in “Halloween” troviamo la sua ossessione maggiore: l’assedio. Come in “The Fog” c’era la nebbia a disturbare e a opprimere i protagonisti rendendo angosciante l’incedere della storia, come in “La Cosa” il senso di incertezza alla “Cluedo”, o in “Fantasmi da Marte” la parola data ai singoli, che “scompone” la verità, in “Halloween” troviamo come teatro finale (e definitivo) della storia una strada, due ville, e un pazzo maniaco che si aggira là attorno durante la notte di Halloween. Tutto è deciso da ciò che i personaggi faranno: attraverso la strada? Mi barrico in casa? E, naturalmente, da ciò che il cattivo gli opporrà. Un semplice gioco a incastri, economico, basato sul principio “azione-reazione”. Economico, forse scontato… ma diavolo, ti viene da sgolarti per dare ordini a quelle povere ragazze che diavolo devono fare per portare a casa la pelle! In definitiva, a suo modo, un film essenziale per la storia dell’enterteinment.

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