Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Pupi Avati vive il proprio cinema, tra le altre opzioni estetiche della sua filmografia, anche come una lunga jam session di jazz. I film come set di un concerto della memoria e dell’autobiografia. Le storie come brani, standard, classici sui quali si può improvvisare, scavare nelle armonie, negli accordi, interpretandoli, di volta in volta con una tonalità differente ma vicina alla partitura messa sul leggio. Il jazz come passione irrealizzata nella sua pienezza e mai sopita e il jazz come spartito incompiuto (come lo è il sottile segreto di ogni passaggio su questa Terra) di una colonna sonora fatta di incontri, sogni insoddisfatti, sconfitte, amicizie, amori sfiorati. Ad libitum come in certe canzonette che continuano a dire una qualche verità, con o senza Truffaut. Le storie che vale la pena di raccontare sono poche. Come le sette note. E Avati lo sa. Non lo nasconde a se stesso e agli spettatori, Vuole, con esecuzioni sempre diverse, tornare al momento in cui, almeno per lui e non solo per lui, tutto è cominciato e dove tutto sembra tornare soprattutto per quello che va/è andato da un’altra parte, contraddicendo le tante risposte che si danno/si sono date alle domande formulate nella giovinezza. Mentre le indecifrabili comete stanno a guardare e viaggiano, indifferenti, in un cielo troppo grande per qualunque personaggio, per uomini e donne. Gianca (Briguglia), Nick( (Santamaria) e Francesca (Puccini) vivono le incostanze e le sorprese dell’amore e del caso. I due protagonisti si conoscono nel 1994 durante uno stage di Umbria Jazz. Un sax e una tromba per sanare antiche frustrazioni familiari e per assicurarsi una rivincita. Passano gli anni. Fortuna, talento, scelte, aspettative, sono comete che tocchiamo con mano, meno maestose e luminose di quelle che stanno lassù, eppure si muovono, seguendo un’orbita e una traiettoria imprevedibili e sulle quali nessuno ha potere. Affiancano e determinano gli innamoramenti e i tradimenti, le incertezze e gli scatti di impotenza, le tenerezze e l’intensa malinconia. Una malinconia che stringe a sé tutti i personaggi (bene interpretati da un buon cast in cui va segnalato Johnny Dorelli) di questa orchestra dell’umano sentire.
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