Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film
"Il dolore è idiota. Io scelgo il nulla. Non è meglio... Ma il dolore è un compromesso. O tutto, o niente"
Frase simbolo di "Fino all'Ultimo Respiro" di Jean Luc Godard (1960), ma di tutto il movimento della Nouvelle Vague e di un intero modo di pensare il cinema. Il giovane sbandato, insofferente ai canoni borghesi, Michel Poiccard (Jean Paul Belmondo) ribalta la soluzione fornita dalla citazione di un libro di William Faulkner. Godard, scombussola tutte le regole della settima arte, partendo dal linguaggio cinematgrafico, che nelle mani del cineasta francese diviene lo strumento con cui praticare la rivoluzione delle immagini.
L'individuo autenticamente moderno, può essere libero, solo raggiungendo la consapevolezza dell'insignificanza della vita. Bisogna abbracciare l'idea che essa é nulla. Afferrato tale concetto, l'uomo moderno potrà abbandonare ogni ricerca dei tradizionali valori metafisici tipici della cultura di massa (amore in primis, attinendoci al film).
In questa frase, c'è anche il rifiuto di Jean-Luc Godard di seguire le regole del cinema dei vecchi "padri" e addentrarsi nei generi cinematografi, per scardinarli e romperli dall'interno. Incasellare questo film in un filone preciso è impossibile. Ci si trova innanzi ad un condensato di tutto il cinema precedente (noir, citazioni a Bogart, femme fatale etc...) e al contempo nulla (la rottura di tutte le regole cinematografiche). È indubbio come Godard nel 1960 rivoluziono' il cinema come prima di lui ci riuscirono così a fondo solo Griffith e Welles.
Frammentazione nervosa e stasi, sono i binari su cui si dirige il film. La tecnica di montaggio del jump-cut, conferisce alla narrazione un andamento anti-lineare e anti-narrativo, ma soprattuttola mancanzadi un "posto" da parte di Poiccard nella società di massa. Godard elimina il superfluo, a favore dell'immagine essenziale. Quella da lui selezionata è considerata essenziale dalla propria visione d'autore, in grado di applicare scientemente le idee elaborate negli anni precedenti, come critico della rivista "Cahiers du Cinema".
Fino all'ultimo respiro (1960): Jean-Paul Belmondo
Frammentazione, scarnificazione ed essenzialità del montaggio, si esplicano in tutta la loro rivoluzionaria potenza nella famosa sequenza dell'omicidio del poliziotto. L'essenziale risulta dall'attimo del fare, non dal momento che porta ad esso.
Il colmare i vuoti tra le sequenze viene lasciato all'immaginazione dello spettatore, cosciente di star vedendo un film, senza così aver modo di immedesimarsi nella finzione palese. L' artficioso lo respinge in ogni modo. Anche se ci provasse, basterebbe lo sfondamento della quarta parete da parte di Jean-Paul Belmondo, per palesare la rottura dell'inganno.
Godard infrange scientemente una delle (tante) regole del cinema classico - l'imparzialità della macchina da presa -. Il film però ritrova unità di tempo e luogo in alcuni, grazie all'uso di lunghi carrelli in piano sequenza, nelle scene di Poiccard con Patricia (Jean Seberg), ragazza americana a Parigi, con cui ha una relazione sui generis.
Significativi sono i circa 20 minuti di dialoghi variopinti sul più e del meno, nella camera d'albergo in cui protagonisti, si estraniano dal mondo esterno, vivendo una libera e anti-etica relazione "profonda" fatta di tutto sesso e poco sentimento d'amore. Coerentemente con ciò Godard, adopera fonti naturali di luce, rompendo l'artificialita' del cinema.
Il passato non esiste, conta solo "la presenza" nell'inquadra. Quello al di fuori è compito dello spettatore unificarlo con il visto.
"Fino all'Ultimo Respiro" gioca con il contrasto tra l'impronta realista nella tecnica, con alcuni elementi di finzione con i rimandi a Bogart - il manifesto del film "Il Colosso d'Argilla" (1956), ultimo film dell'attore americano, sancisce un po' la "morte" del cinema classico e quindi delle regole convenzionali -.
Un'opera estremamente dotta, cinefila ad avanguardista. Per questo capace rinuncia ad ogni spettacolarizzazione, inutile orpello e conclusioni definite - il finale con la parola "schifosa" resterà per sempre emblematico -.
"Fino all'Ultimo Respiro" vive della sua vena anarchica, che gli conferisce lo staus di capolavoro assoluto del cinema. Lo stesso Godard come lo scrittore Parvulesco (Jean Pierre Melville), con tale esordio ha raggiunto la più grande ambizione dell'esistenza umana; "Divenire immortale… e poi morire". Proposito che attuerà oltre 60 anni dopo, tenendo fede alle sue premesse.
Fino all'ultimo respiro (1960): Jean-Paul Belmondo
Film inserito nella playlist capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297
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