Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film
L’essenza innovativa della nouvelle vague risiede nell’aver saputo far emergere il carattere disordinato, incoerente e selvaggio della natura umana attraverso i suoi aspetti più civilizzati, come la vita cittadina moderna e meccanizzata, il colloquio sentimentale ed introspettivo, il culto dell’arte e della filosofia. Questo film inaugura un senso dell’avventura intesa secondo un’accezione più ampia ed astratta rispetto a quella dei romanzi classici: il termine si riferisce ancora a una vicenda imprevedibile e vissuta pericolosamente, sempre sul filo del rasoio e nella costante incertezza sul passo successivo, ma il suo significato non è più legato alla solita ambientazione esotica o fantascientifica. Lo scenario metropolitano, fatto prevalentemente di spazi chiusi e/o affollati (gli interni degli appartamenti, le sale dei caffè, le vie piene di traffico) è la nuova giungla equatoriale, il nuovo pianeta misterioso, in cui si incontrano esseri feroci od alieni, sia pure nei panni rispettabili di uomini e donne raffinati e pensanti. L’istintualità è una dimensione nascosta ed inafferrabile, che, però, non smette di affiorare dai discorsi indiretti, dalle menzogne, dalle allusioni, dai sottintesi. Il giro di parole è l’arma di un confronto corpo a corpo che non risparmia, ormai, nemmeno l’anima, scavando nell’interlocutore-avversario fino a scoprirne i più intimi recessi. Ed è anche un strumento di esplorazione dell’altrui territorio, di cui il dialogo - che parte per improvvisazione e poi aggiusta il tiro strada facendo - saggia strategicamente le risorse ed i punti deboli. Il progresso ha dunque complicato le dinamiche delle lotte primordiali, pur non alterandone lo spirito spietato e primitivo, basato sul mors tua vita mea. La figura di Michel Poiccard, dongiovanni, burlone, impostore, ed anche ladro ed assassino, riassume i tratti incerti e mutevoli di una personalità che, nella complessa arte di sopravvivere richiesta dalla nostra epoca, continua ad inventarsi nuove identità, fino a perdere quella vera, confondendo realtà ed apparenza, sincerità e falsità. La sua esistenza col doppio fondo è il perfetto ritratto della confusione di cui rimane vittima chi ha ricche ambizioni e scarsi valori, numerose esigenze ma pochi principi, in un contesto cosmopolita che assicura grande varietà, ma riduce al minimo i punti di riferimento.
La sua vita da criminale e vagabondo, che maschera l’assenza di scrupoli dietro un’aria frivola e zuzzurellona, è emblematica di un’autonomia di pensiero che, spregiudicatamente, rifiuta qualsivoglia limite. All’interno di un movimento culturale che spinge insistentemente verso la libertà espressiva, moltiplicandone le forme (la pittura, la letteratura, il cinema, la fotografia,) e puntando sempre più verso l’internazionalizzazione, i vincoli della morale vengono sacrificati alle esigenze di un’avanguardia che, non accontentandosi del primato intellettuale, vuole imporsi anche sul piano economico e politico, facendosi moda commerciale e corrente di pensiero. Come Michel, che sfreccia per le strade, cambiando continuamente la marca ed il modello dell’autovettura (francese, italiana, americana), i portatori delle nuove ideologie vorrebbero scorrazzare trionfanti per il mondo, proclamando in tutte le lingue il loro messaggio rivoluzionario. È, questo, il gaudente assolutismo del nulla, che, in nome dell’oblio del passato, della rifondazione ex novo, della fuga in avanti, respinge, come inaccettabile via di mezzo, anche il nobile compromesso del dolore. La citazione dal romanzo Wild Palms (1939) di William Faulkner offre la decisiva chiave di lettura di questo film: un film il cui titolo richiama l’affanno di un’impresa estrema, forse addirittura eroica, che, però, letta fino in fondo, si traduce nella corsa forsennata ed incosciente verso il proprio azzeramento.
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