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Coccodrillo

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Coccodrillo

di ed wood
6 stelle

L’esordio di uno dei maggiori e più controversi registi dell’ultimo ventennio è ovviamente sotto il segno di una violenza ricorrente, percepita come incancrenita condizione umana che accomuna adulti, vecchi e bambini. E’ una vita randagia, marginale quella ritratta da Kik Ki-Duk. Siamo abbastanza lontani da quello che, nel cinema estremo-orientale di quegli stessi anni, era probabilmente il più ispirato cantore di esistenze votate alla (auto)distruzione, quel Takeshi Kitano che coglieva il non-senso di ogni gesto o pensiero di navigati e stanchi yakuza. Il coreano si dedica invece agli outsider, agli sfigati. Siamo forse più vicini all’esordio di un altro grande irrequieto iconoclasta del cinema asiatico, l’Oshima furente e dolente di “Racconto crudele della giovinezza”, ma senza la sua complessa indagine sociologica. E’ un giovane Kim che, pur tentennando, comincia già a mettere sul tavolo gli attrezzi per costruire quella sua sofisticata architettura metaforica che avrebbe trovato piena espressione in alcune opere successive. “Coccodrillo”, sin dal titolo, espone già quella dimensione “anfibia” tipica del regista, quell’ondeggiare perverso fra le dimensioni antitetiche della prevaricazione e della dolcezza, di luoghi sordidi e di acque purificatrici, di brutture e di improvvise invenzioni artistiche. Il tema dell’evirazione e quello del voyeurismo (con fotografie, video, telecamere che entrano subito nel patrimonio genetico del cinema di Kim), la manipolazione “cromatica” del reale (i muri dipinti, la tartaruga blu) come arma di consolazione dalle tenebre e dal grigiore quotidiano, la presenza di bizzarri oggetti come divani e distributori automatici a delineare un pauperistico universo poetico irrompono sin dal debutto come necessari contrappesi alla funesta routine criminale. “Coccodrillo” vive di espedienti, un po’ come i suoi personaggi. La narrazione è episodica, impressionistica, sfilacciata. Senz’altro lo sviluppo, un po’ confuso e raffazzonato, della trama costituisce il principale limite di questa opera prima. Allo stesso modo, gli innesti immaginifici sono privi della geometria impeccabile delle opere del decennio successivo ed emergono asimmetricamente a mitigare la radicalità con cui vengono rappresentati sesso, violenza, sfruttamento economico. Tuttavia intuizioni perverse come il sangue al posto del caffè, tenerissime come il palloncino gonfiato sott’acqua che emerge in superficie e simboliche come la costruzione (suicida) di un salotto sommerso annunciano già la statura di un autore destinato a fare la Storia del cinema contemporaneo.

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