Regia di Giulio Macchi vedi scheda film
Un giornalista meschino e arrivista tenta risollevare le sorti di una testata in crisi di vendite rivangando un controverso caso giudiziario di qualche anno prima, maciullando la vita di chi vi era rimasto coinvolto. La tiratura aumenta, ma il prezzo umano è altissimo.
E' un'operina poco nota, ma sicuramente degna e, direi, riuscita. Come già accennava la scheda di Film TV, è probabile che Vincent Sherman abbia svolto più della supervisione. E' verosimile che sia il vero regista della pellicola. E ciò a motivo di uno stile di ripresa non italiano, e forse americano, come pure di un andamento tipico di un dramma o di un noir d'oltreoceano. Del resto, non sarebbe l'unico caso in cui il regista italiano è stato solo un prestanome (come “L'ultimo uomo sulla terra”).
Il film è un duro atto d'accusa contro la stampa scandalistica, o forse contro la stampa in sé, quando essa ricorre a mezzi meschini e cinici pur di aumentare la tiratura. Se le testate possono abbassarsi a qualunque meschinità e vampirismo, lo fanno perché dall'altra parte c'è un pubblico avido di scandali, chiacchiere pruriginose, storie di omicidi passionali, e in generale è ansioso di farsi gli affari degli altri; tanto più sono privati e delicati, tanto meglio (oggi il discorso è facilmente estendibile alla televisione e a internet....). Non solo, ma è proprio il pubblico, che con i pettegolezzi e la totale assenza di pudore e delicatezza, distrugge la vita privata e sociale delle vittime designate. Il fatto che sia una coppia felice, e/o bambina indifesa e innocente, non fa differenza. La gente mormora, e la vita è distrutta in un battibaleno. Infatti, i pettegolezzi della stampa riescono a seminare la divisione e il sospetto anche in una coppia dove si era praticata la fiducia reciproca, e la tragedia è dietro l'angolo. Il dito puntato di coloro che si sentono bravi è come un'arma carica che in realtà viene puntata e ferisce e uccide come la pistola vera. “Uccide più la lingua che la spada” - sta scritto nel Siracide.
Vincent Sherman, che io considero dunque il regista, dirige bene questo dramma realistico, senza tempi morti, che decisamente ci mette in guardia da una “informazione” che fa molte vittime e non porta del bene a nessuno, alla quale semplicemente non si dovrebbe dare spago.
Parte del merito va sicuramente anche alla nota penna di Suso Cecchi d'Amico.
Il personaggio di Gassman è abbastanza secondario e forse non valorizzato, ma il ruolo del mascalzone è nelle sue corde, e l'attore non figura. Se la cava bene Martine Carol nelle vesti della moglie, mentre lascia il segno Charles Vanel, nei panni del caporedattore. Non era facile rappresentare un giornalista con la coscienza ancora viva, senza però cadere nella retorica o nel buonismo.
Da riscoprire.
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