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Libera, amore mio!

Regia di Mauro Bolognini vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Libera, amore mio!

di sasso67
8 stelle

Sfortunato e sottovalutato, il film di Bolognini dovette subire notevoli traversie produttive, tanto che, girato nel 1973, poté uscire soltanto nel 1975. Rivisto oggi, tuttavia, appare assai meno scontato di quanto si potrebbe supporre, anche tenendo conto di pellicole analoghe girate nello stesso periodo ed invecchiate molto peggio. Libera, amore mio… è (se non il film più politico) uno dei film più politici di Bolognini, che denuncia alcuni elementi ineludibili per un’analisi il più possibile oggettiva della nascita della nostra repubblica. In uno dei momenti più appassionati, l’evaso Sandro Poggi (Bekim Fehmiu) sostiene di fronte alla protagonista (una Claudia Cardinale molto in parte) che non sarà sufficiente sbarazzarsi di Mussolini, perché questi non è che la maschera dietro la quale si nasconde il vero fascismo, quello degli sfruttatori e degli speculatori, mentre, in un sottofinale amarissimo, ambientato dopo la Liberazione del 25 aprile, Libera scoprirà che i vecchi e prepotenti gerarchi del regime sono stati riciclati come funzionari della nuova repubblica uscita dalla Resistenza, con l’avallo anche dei dirigenti dell’antifascismo. In questo senso, il regista non si tira indietro di fronte ad una critica al pragmatismo della sinistra italiana post bellica (Poggi aveva detto che il giorno della caduta di Mussolini non sarebbe stato l’ultimo giorno della rivoluzione, ma il primo, e invece…), ma indica anche l’alternativa anarchica come una bellissima ed impossibile utopia. La stessa protagonista, infatti, ha, in questo senso, le idee molto confuse: comprende la propria diversità da un qualsiasi altro antifascista («io non so’ democratica, so’ anarchica!» urla orgogliosamente al marito, dopo la sfuriata al saggio ginnico che costa alla famiglia il soggiorno a Livorno), ma poi si trova a fare la staffetta dei partigiani rossi, quasi come la protagonista dell’Agnese va a morire di Renata Viganò (e questa è, a mio avviso, la parte più debole del film), canta l’Internazionale, mette in bocca al comunista Poggi le parole di suo padre (Adolfo Celi) anarchico. L’anarchia, concezione politica che si fonda sulla fiducia nella capacità degli individui di gestire autonomamente la propria libertà, tanto più si diffonde quanto più sono repressive le forme di governo all’interno delle quali si trova ad operare, rischia sempre di implodere in situazioni politiche confuse, com’era quella dell’Italia del dopoguerra, quando le aspettative di una vera rivoluzione (ma di quale tipo?) furono man mano tradite, in prima battuta dal P.C.I. togliattiano. Ma Bolognini mette anche in evidenza, fin dal prologo, nel quale Felice (Celi) si fa convincere dalla figlioletta ad arrendersi alla polizia, che i principi dell’anarchia, nel nostro modello di società, entrano ogni momento in contraddizione con la vita quotidiana, dalla famiglia alla scuola, a tutte le forme di vita associata. In più, come capita spesso, il discorso politico di Bolognini non è disgiunto dall’aspetto sessuale: seppure meno esplicito che altrove, il regista non rinuncia ad evidenziare il rapporto tra l’attrazione e/o repulsione politica e quella fisica e sessuale. Il fascista Testa (Philippe Leroy), infatti, è rifiutato da Libera su entrambi i piani (e dal rifiuto personale l’uomo coverà infatti anche un risentimento politico), mentre è evidente l’attrazione che la donna prova per l’antifascista Poggi come uomo ed oppositore del regime. In questo senso, Libera, come l’Italia uscita dalla guerra, dovrà accettare dei compromessi: e per lei il meglio sarà restare con quel brav’uomo del marito (uno strepitoso Bruno Cirino, del quale molto si deve rimpiangere la prematura dipartita), che poco s’interessa di politica, ma rappresenta un imprescindibile punto di riferimento per la famiglia (nonché, sembra di capire tra le righe, per la ricostruzione del paese). Per tutto questo insieme di motivi, direi che Libera, amore mio… è un buon film, discretamente funzionante su piani diversi (perfino quello della commedia), ampiamente da rivalutare, anche perché, nell’ultima parte, rifiuta di trattare il periodo resistenziale a colpi enfatici di matita rossa, com’è purtroppo avvenuto in altre e più celebrate sedi.

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