Regia di Luigi Comencini vedi scheda film
Un uomo torna dall’Africa, dove lavora, per il funerale della moglie, che gli lascia un bambino praticamente mai conosciuto. Fra il piccolo e il genitore non c’è intesa e il padre vorrebbe chiuderlo in orfanotrofio per ripartire. Ma il bambino ha stretto amicizia con Richetto, un amico della donna morta in cui vede un surrogato paterno.
La finestra sul luna park chiude idealmente la prima parte della carriera di Luigi Comencini, attivo fin dall’immediato (secondo) dopoguerra e arrivato alla fama grazie a Pane, amore e fantasia (1953), pellicola leggera che lo avrebbe legato ai grandi nomi della commedia (all’) italiana. Ma naturalmente Comencini era capace anche di altro, come dimostra in questo film; il fatto che sia poi stato ricordato come il regista dei bambini (o dell’infanzia, più in generale) risulta ineccepibile alla luce de La finestra sul luna park. Nonostante manchino i nomi di richiamo nel cast, nonostante si tratti di un titolo minore per lo stesso regista e nonostante la semplicità della trama e del suo svolgimento (e, aggiungiamolo pure, nonostante lo sbrigativo lieto fine), questo lavoro lascia indubbiamente il segno sia per la delicatezza con cui la sceneggiatura (di Comencini e Suso Cecchi D’Amico, con la collaborazione di Luciano Martino) tocca argomenti sensibilissimi, sia per l’umanità conferita ai personaggi, ancora in odore – il che non è necessariamente un pregio, visto che siamo nel 1957 – di neorealismo. Gastone Renzelli, Giulia Rubini, Pierre Trabaud, Calina Classy e il piccolo Giancarlo Damiani, 8 anni, alla prima e ultima esperienza sul set, sono gli interpreti principali; solida la confezione grazie agli apporti della fotografia in bianco e nero di Armando Nannuzzi, delle musiche di Alessandro Cicognini e del montaggio di Nino Baragli. A testimonianza della sua versatilità, Comencini in quello stesso anno usciva in sala anche con lo spensierato Mariti in città. 5/10.
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