Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
Fra i film di Sir Alfred, “Rear Window” è probabilmente uno dei più amati ed analizzati dalla critica. E il motivo è facilmente intuibile: per la sua stessa natura drammaturgica e per la sua struttura formale, è un film sullo “sguardo.” Questo vocabolo è uno dei termini più usati (e talvolta abusati) dalla critica cinematografica, e certamente uno dei più affascinanti. Può indicare il “punto di vista”, ossia l’opinione soggettiva dell’autore rispetto alla materia trattata, al soggetto del film, all’oggetto della trattazione; ma può significare anche, in senso più tecnico, la posizione della mdp nei confronti dell’obiettivo, dell’universo diegetico che costituisce l’inquadratura. E “La finestra sul cortile” non fa altro che speculare, raffinatamente, su questo fondamento dell’arte cinematografica. Tutto il film si svolge nell’appartamento del fotografo infortunato Jeffries (un Jimmy Stewart come sempre eccezionale, in una parte anti-eroica, non certo convenzionale), a cui fanno visita la fidanzata Lisa, l’infermiera, l’amico detective; dall’altra parte della barricata visiva, di quella linea dei 180 gradi la cui infrazione costituiva un tempo un’eresia alle leggi del classicismo griffithiano, troviamo tutto un micromondo di personaggi che non sentiamo parlare, se non da lontano, con le loro voci sommerse dal sonoro diegetico (il rumore del traffico, la musica di un pianista o di un giradischi etc…una delle tante intuizioni geniali del film, capaci di sollazzare la smania critica dell’analista più puntiglioso), e di cui non cogliamo i dettagli delle rispettive azioni (se non quando Jeffries li osserva col binocolo), ma di cui finiamo paradossalmente per entrare nell’intimità (l’atletismo sexy e spensierato della ballerina, la solitudine isterica della zitella, la frustrazione del pianista, le baruffe fra coniugi etc…fino a possibili atti criminali). Tutto il film è fondato sulla semplice, ma al contempo intricata, dialettica fra chi guarda e chi è guardato, fra l’essere al di qua e l’essere al di là della linea di sguardo: fino a quando tale linea collassa e i due mondi entrano pericolosamente in collisione. La violazione della privacy è come una droga: una volta che si invade il territorio proibito (dalla morale, o meglio da “una” morale, prima ancora che dalla legge) delle “vite degli altri”, si vogliono sapere sempre più cose, fino a quando non accade che lo “sguardo del guardato” incrocia quello di chi guarda, con conseguenze rovinose. Esiste tutta una serie di possibili letture di questo film, molte in chiave erotica: la battaglia dei sessi (e delle classi sociali, e degli stili di vita etc…) è centrale in questo film, dove una innamorata Grace Kelly vorrebbe sposare un riluttante James Stewart, che la considera troppo perfetta. Si potrebbe leggere una allegoria della frustrazione sessuale, e forse anche dell’impotenza (Jeffries è immobilizzato da una frattura alla gamba), più probabilmente dell’opportunismo insito nelle relazioni di coppia (Jeffries “usa” la fidanzata Lisa, innamorata di lui, per soddisfare la sua ossessione voyeuristica, facendole correre un pericolo nel concitato finale del film). Al di là delle possibili interpretazioni e degli sviluppi della trama, resta una delle dimostrazioni più lampanti di come Hitchcock, “maestro del brivido”, fosse in realtà il primo a violare del regole del giallo, del thriller, del poliziesco, utilizzandone gli archetipi e i meccanismi come basi per studiare l’uomo, i suoi comportamenti, le sue nevrosi. In “La finestra sul cortile” la suspense non è legata alle progressive rivelazioni dei dettagli né all’indagine del detective né alla vera identità del carnefice (o della vittima), ma al crescere della paranoia di Jeffries, a come questa si diffonda contagiosamente fra chi gli sta vicino (prima Lisa, poi l’infermiera) e infine all’incalzante rischio di venire scoperti. E’ un film a suo modo visionario, certo meno che Vertigo, Psycho o gli Uccelli, ma alcune sequenze possiedono indubbiamente una qualità onirica: la prima apparizione di Lisa (una principesca Grace Kelly), vista dal protagonista più come proiezione dei propri desideri nascosti che come fidanzata in carne ed ossa; il balletto degli spostamenti dei vicini di casa, sotto una notte di pioggia; l’assalto finale (coi passi scanditi nel buio e un’ombra che chiede ad un Jeffries pietrificato, quasi imbarazzato: “Lei cosa vuole da me?”, frase che sintetizza la filosofia del film nonchè la connessione perversa fra realtà e immaginazione su cui si fonda l’Hitchcock-pensiero) girato in chiave espressionista, come se fosse un incubo allucinato. Lo sforamento del ping-pong campo-controcampo viene annunciato, nel corso del film, da un utilizzo calibrato di piani-sequenza su cui, vent’anni più tardi, un DePalma avrebbe fondato una intera carriera. Tutte qualità che, unite al complesso impianto teorico di cui sopra, contribuiscono a far dimenticare qualche pecca del copione e qualche prolissità nel ritmo. Film di modernità impressionante, sotto tutti i punti di vista, anche per come integra le digressioni dei personaggi secondari al corpo del film, influente su mezzo cinema thriller successivo, da Powell a Coppola fino ad Henkel, attualissimo nell’era degli smart-phone e dei social network (un connubio che sta effettivamente annichilendo il concetto di privacy), “La finestra sul cortile” resta un caposaldo di un’arte fondata sullo sguardo e sul movimento come quella cinematografica.
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