Regia di Saverio Costanzo vedi scheda film
La tranquillità di una famiglia di palestinesi viene sconvolta dall’irruzione di una pattuglia di soldati israeliani. Scene di quotidiana intolleranza nei territori mediorientali. Ma la famiglia non ci sta. Le regole vogliono che questa, in blocco, abbandoni l’abitazione, ma il capofamiglia tiene duro, e nonostante lo scetticismo dei suoi familiari, opta per una convivenza accompagnata da condizioni di frustrazione psicologica reciproca. Alla lunga la pervicacia di Mohammed convince tutti, nonostante ognuno affronti la situazione alla propria maniera.
Saverio Costanzo mette in scena tutto il dramma e l’assurdità della vita nei territori d’Israele. Due blocchi ideologici, due mentalità, due modi di vedere le cose, tanto diversi, tanto tenaci.
Il regista, vincitore con questa opera del Pardo d’oro al festival di Locarno nel 2004, riesce a trasmettere tutta la tensione latente in una situazione del genere. Lo fa attraverso un uso viscerale della mdp, talvolta addirittura troppo tarantolata. Ma il senso che tenta (e riesce) a trasmettere è quello di una quotidianità accompagnata da una latente inquietudine che però non sfalda le coscienze di nessuno, anzi rafforza la proprio foggia, divaricando le differenze, alimentando il manicheismo.
Particolarmente azzeccate le scene di tensione, per cui Costanzo si avvale di tutto quanto a disposizione: il montaggio, la fotografia, il sonoro. Decisamente condivisibile il finale particolarmente onesto nei riguardi delle coscienze degli spettatori: le ultime riprese segnano l’avvicendamento della pattuglia israeliana con un altro contingente, lasciando similari le condizioni della famiglia, ma ricominciando il lungo duello psicologico tipico della mediazione. L’onestà sta nel lasciare ad ogni spettatore la possibilità di trovare il proprio finale, anche se la denuncia al terrorismo come soluzione privilegiata da qualcuno è fortissima. Insomma Costanzo ci mette le premesse, allo spettatore (e dunque ai posteri) le conclusioni.
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