Regia di Seijun Suzuki vedi scheda film
Melodramma a tinte forti senza vie di scampo. L'amore totale e la follia militare alimentano la macchina mèlo, ma è l'attacco frontale all'uomo in guerra e alla politica della guerra ad interessare a Suzuki, enfatizzando in questo modo la perdita di umanità e la degenerazione del Giappone nel 900. Rincarando la dose l'autore pone una figura di donna, al centro del racconto, una donna sfruttata per eccellenza: la prostituta. I temi così sono oltre che cupi anche estremi, affiancando la schiavitù sociale del corpo della meretrice con quella del soldato in balia della gerarchia militare. Paradossalmente i due ruoli si assomigliano nello sfruttamento della persona e quindi si incontrano, riconoscendosi a vicenda, ma ricevono un giudizio morale diverso, una è condannata l'altro è esaltato dalla retorica del potere. La Cina occupata dai giapponesi prende sembianze quasi da immaginario western nei paesaggi desertici e dagli uomini a cavallo, dando un buon esempio dell'eclettismo e della classe di Suzuki. Il lavoro sull'inquadratura è notevole e con un montaggio brusco e libero da eccessive convenzioni (fermi immagini simbolici, stacchi decisi, sovraimpressioni), completano una messinscena che spazia fra magnifici momenti onirici (molte sequenze con gli amanti nudi) a squarci di violento realismo.
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