Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film
A reggere questo film (tratto da un romanzo di inizio Novecento di Herman Bang) è una coppia di paralleli, continuamente riproposti: quello fra la vita e la vitalità artistica - cioè la creazione, lo sfogo artistico come certificazione inoppugnabile della propria esistenza, nonchè fonte di sopravvivenza - e quello fra la passione e la realizzazione materiale, come se l'anima fosse completamente appagabile solamente con un segno presente, concreto. Amore e morte, come la letteratura (la tragedia) classica insegna, sono le componenti essenziali di questa trama; psicanalisi come piovesse con l'impiego di ruoli basilari come quello del padre e del figlio, dell'amante 'occulto' (il tema dell'omosessualità è tutt'altro che velato), del ricco e dello squattrinato, del vecchio e del giovane: se ne potrebbe discutere per ore senza esaurire gli argomenti, da quanta materia c'è in questa pellicola. In sostanza, va comunque rilevato, si tratta di un'opera dal deciso carattere teatrale nelle ambientazioni, con un finale romantico ad oltranza che può lasciare persino di stucco: l'accettazione della morte prematura non avviene con la serenità di chi sa di lasciare un testamento artistico a favore dell'umanità, come Zoret potrebbe anche ritenere di fare, ma si realizza grazie alla consapevolezza di avere conosciuto il vero amore. Può sembrare banale, ma nel contesto lascia certamente allibiti. 6,5/10.
Il maturo pittore Zoret è diventato famoso e ricco grazie al giovane modello Mikael, che ha eletto a suo pupillo, nonchè unico erede. Nonostante le attenzioni paterne e probabilmente anche le insidie sessuali di Zoret, Mikael gli volta le spalle appena conosce una bella nobildonna; Zoret, solo e spiritualmente impoverito, muore felice di lasciare tutto a Mikael.
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