Regia di Woody Allen vedi scheda film
Che la vita delle persone sia una messa in scena attorcigliata e che il mondo non esista che come infinita “rappresentazione” sono due dei temi costitutivi e fondanti del cinema e della scrittura di Woody Allen. Si potrebbero citare numerosi ed eterogenei esempi presi in prestito dai suoi film delle varie epoche. Recitare la vita, per i suoi personaggi, è un compito da svolgere, un problema con molte operazioni interdipendenti da risolvere (spesso il foglio viene consegnato in bianco) e quella recita è parte dell’inimitabile, euforica e disforica ricerca di Allen per ingannare il tempo che passa e per rallentare l’incontro finale con il nulla grazie ad una battuta e un raggiro del senso e del comune sentire. Nei suoi film si incontrano, di frequente, persone che scrivono e inventano storie. D’altra parte i passaggi metanarrativi della sua comicità appartengono al suo repertorio espressivo più genuino. In questo divertente e amaro, tagliente e sconsolato, serrato e rilassato, sagace e semplice doppio film o intreccio bifronte, due scrittori seduti al tavolo di un ristorante newyorkese (la città è il “borgo natio”, la culla dinamica, seducente e ovattata del pessimismo cosmico dell’autore) si sfidano nel raccontare le traversie di Melinda (una trepida Radha Mitchell), l’ultima incarnazione alleniana delle confusioni e dei perenni smarrimenti femminili. I tormenti d’amore e l’inadeguatezza alla felicità dell’eroina metropolitana sono modellati dagli stereotipi del dramma e da quelli della commedia. Rapporti di amicizia e di vicinato, incontri e guai, serate romantiche e sorprese, bistrò e divani, corteggiamenti e gelosie, singole parole e frasi intere, sguardi e percezioni possono, contestualizzati in generi narrativi contrapposti, commuovere o far ridere. La sostanza di quello che si vede o si ascolta dipende dalla forma e nella vita reale è il linguaggio a esprimere paure ed ansie, ricordi e pulsioni. Lo sviluppo delle vicende di Melinda segue un plot preordinato da una tradizione della scrittura creativa, da un’economia millenaria delle maschere e dalla speciale opzione che ognuno di noi possiede: volteggiare per il mondo o impegnarsi in un combattimento all’ultimo sangue con il mondo stesso. Woody Allen sa quali attori convocare su un set (qui si integrano benissimo all’impresa, soprattutto Will Ferrell e Chlöe Sevigny) e si muove tra i due registri narrativi con una perizia, una sicurezza e un’intelligenza che non stupiscono più, ma che è scriteriato trattare con sufficienza (soprattutto quando si vedono in giro sceneggiature sfiatate e vuote). Guardando il film si sorride spesso, si pensa ogni tanto, si prende coscienza di essere in scena anche se stiamo in platea. Le assonanze con Sliding Doors e Smoking; No Smoking sono abbastanza aleatorie.
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