Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
Ocean’s Twelve, tra vent’anni o anche prima, verrà analizzato e studiato in un saggio ponderoso e documentato sull’immaginario cinematografico attivato, generato, messo in atto dai sequel. La fidelizzazione e la costruzione, casuale e calcolata, di una complicità tra chi guarda e chi racconta, la topografia degli universi paralleli che vivono altrove in piena autonomia romanzesca e ogni due o tre anni si manifestano, le modulazioni di frequenza del glamour di gruppo. Un coro, non più greco, ma hollywoodiano. Questi potrebbero essere alcuni dei paragrafi del saggio. Il film di Steven Soderbergh (e di tutti i suoi attori), come pochi altri sequel, prevede, chiede che si conosca il primo capitolo delle avventure della banda di Danny Ocean. È una richiesta dovuta non tanto alla comprensibilità della storia quanto alla preventiva confidenza con i personaggi. Il film funziona su una microenciclopedia cognitiva. E le trame del cinema, con gli attori che interpretano se stessi (Bruce Willis nel ruolo di un rilassato Willis in vacanza a Roma, Julia Roberts, nel ruolo di Tess sposata a Ocean, che può calarsi impacciata, per una indiscutibile somiglianza fisica, nei panni di una Roberts incinta), alcuni riferimenti ad altri attori e altri film, la memoria, evidente, dei film spettacolari, migranti e d’équipe degli anni ’60 formano uno dei sottotesti da seguire. Le scuole di recitazione potrebbero applicarsi, in seminari non troppo dotti, su quell’ambiguità salutare del verbo “to play” coniugata da Clooney, Pitt, Damon, Zeta-Jones (nel film è di una bellezza vertiginosa), Elliott Gould, Vincent Cassel e dagli altri. Recitare e giocare, divertirsi e divertire. Ocean’s è un party-movie. È un interessantissimo e teorico film-ologramma come l’espediente tecnologico utilizzato per rubare da un museo romano un prezioso manufatto: è la posta in gioco per guadagnarsi il titolo illegale di miglior ladro del mondo e un modo per restituire a un seccatissimo Terry Benedict (Garcia) i 160 milioni di dollari (ai quali vanno aggiunti gli interessi di tre anni) svaligiati al suo casinò di Las Vegas nel primo film. È un album di famiglia allargata e di clan del cinema d’oggi. È un documentario su un team di attori che più che agire sta in mostra e in posa, interpreta senza identificarsi coi personaggi, svisa sui ruoli, sfila nelle strade di Roma, sui canali di Amsterdam, per le vie di Parigi, sulle rive del lago di Como per una rilassata commedia criminale, per un colpo da soliti noti. Ocean’s Twelve ricorda in più scene alcuni nodi fondamentali del cinema di Robert Altman.
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