Regia di Patrice Leconte vedi scheda film
«Quello che si dichiara e quello che si nasconde» è una pratica che accomuna, in modo singolare e imprevedibile, il lavoro dello psicanalista (qualunque sia la sua scuola di riferimento, il suo nume tutelare, lo stregone della psiche che ne determina il metodo) e la professione, meno brillante, più precisa, più disturbante (per i clienti), del commercialista. Su quello che potrebbe sembrare un paradosso teorico e metodologico, Patrice Leconte struttura un sapido thriller dell’anima che si vorrebbe fosse interminabile come teorizzava Freud dell’analisi. Quello che conta nelle sedute sono soprattutto le parole, le affabulazioni, i ricordi, le fantasie, i desideri. La cura prevede un set in cui due coprotagonisti si spartiscono abbastanza rigidamente i ruoli: uno ascolta e l’altro parla. In fondo, sono ruoli alla portata di tutti. Anna (Bonnaire) sbaglia (un atto mancato o una scelta deliberata?) la porta d’ingresso su un pianerottolo e si trova a raccontare le sue pene matrimoniali a un fiscalista, William Faber (Luchini). Il consulente finanziario è un buon ascoltatore ed è attratto dalle confidenze della sua cliente per caso. Tra i due scatta una complicità rituale, si stringe un legame che è molto più suadente e sfuggente di uno scontato transfert tra paziente e analizzante. La cura serve ad entrambi. Leconte, servito a meraviglia da tutti i suoi interpreti (il cast è ammirevole anche nei ruoli più circoscritti), realizza il suo “breve incontro” intorno ad un divano e ribadisce che l’immaginario del cinema può essere fatto solo di parole e di sguardi.
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