Regia di Patrice Leconte vedi scheda film
Emozioni forti in questo intrigante film di Leconte, tra i talenti migliori della cinematografia transalpina contemporanea. La psicanalisi ha sempre affascinato il cinema, che quando si fa arte ha molti punti in comune con la dottrina inaugurata da Freud. Questo "Confidenze troppo intime" sembra avere solo un superficiale link con il tema psicanalitico, ma in realtà Leconte imbastisce un minimalista film sull'argomento. Non è solo funzionale al racconto (una donna in crisi che sbaglia porta e si ritrova nello studio di un fiscalista), perché i due protagonisti non sono affatto soggetti comuni od ordinari. Sia la misteriosa e cerebrale Anna che il bigio e stralunato William si manifestano come personaggi inquieti e un po' smarriti, bisognosi di sfogare le proprie sensazioni ad altre persone, per non far morire dentro la necessità di ricominciare una nuova esistenza. Il film si muove su questo binario, un racconto psicologico che indaga su cosa vuol dire (oggi?) essere soli ed essere amati (o forse considerati da qualcuno). La certezza del dubbio, il sospetto dell'incertezza e l'adorabile, subdola pervesione sono cifre caratteristiche essenziali. Leconte dirige l'opera con le cadenze di una commedia quasi nera, non nevrotica (sarebbe stato un autogoal, ai limiti della parodia), talora avvicinabile al thriller sentimentale quando entra in scena il marito di lei, servendosi di un abile e squisito copione di Jèròme Tonnerre e di un equilibrato e ragionato uso delle luci (più ombrosa la parte precedente all'epilogo nitido). E soprattutto di due interpreti eccellenti, una Sandrine Bonnaire febbrile e sensibile ed un Fabrice Luchini sincero e carismatico (che ha anche un guizzo quando si mette a ballare). Finale sereno, forse non lieto, ma certamente aperto a nuovi sviluppi.
Avvolgente.
Voto: 8.
Brava.
Dà un ritratto dello psicanlista molto feroce ("120 euro!").
Strepitoso e sensibile.
Splendida e febbrile.
Insinuante, psicanlitica, avvolgente. Molto affascinante.
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