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Ferro 3. La casa vuota

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Ferro 3. La casa vuota

di pippus
10 stelle

Cristalli di metafisica frammisti a paillettes di fisica.

 

 

“ O voi, che il libro a legger v’apprestate,

liberatevi d’ogni passione in maniera che,

leggendo, non vi scandalizziate.

Un solo consiglio è opportuno, ovvero che

temporaneamente dal raziocinio vi accomiatate “.

 

(libero adattamento dall’introduzione del “Gargantua e Pantagruele” di F.Rabelais).

 

La lettura di questa mia è preferibilmente rivolta a chi abbia già avuto modo di conoscere l’opera in oggetto; negli altri nutro la speranza che possa stimolarne la curiosità.

 

Nota introduttiva.

Capita a volte di assistere a proiezioni con i soli dialoghi in assenza di colonna sonora, qui, caso forse unico, assistiamo all'opposto: dialoghi quasi assenti (e i pochi presenti non positivi, quasi fastidiosi), e colonna sonora portante a supplire per entrambi: chitarra arpeggiata, pianoforte e violini nei quali, talora, viene instillata una “celestial voice” da estasi.

I brani solo solo due ma assolutamente inscindibili dalle scene a cui sono rivolti, a volte sullo stesso dolce registro, altre sul registro opposto, come nel corso della “punizione” inflitta al violento marito di Sun-hwa.

Raramente si era assistito ad audio/video sequenze così inscindibili nel formare un unico assolo come in questa stupenda opera di Kim Ki-duc, opera che necessiterebbe di un termine diverso da “film” per poter più correttamente delinearne l'essenza.

 

Non mi dilungherei sulla trama in quanto semplicemente non esiste. Le sequenze proposte non sono altro che un pretesto per integrarci in una dimensione alternativa alla forma mentis dello spettatore tipo. A priori la lettura di quella che normalmente definiamo “trama”, nel caso specifico, non sarebbe di alcuna utilità in quanto totalmente slegata dalle intenzioni ultime dell’autore.

Kim Ki-duc stesso definisce Ferro 3 un film sul significato della solitudine (non necessariamente in senso lato) della persona nell’attuale società pregna di globalizzazioni di ogni tipo, ma inquietamente castrante.

Le vie d’uscita a volte sono autentiche, altre volte no, e a queste ultime è rivolto il pensiero del regista/poeta. Tutta l’opera è una poesia/metafora sul bene e sul male dell’esserci, e la pallina da golf (con a volte la relativa mazza”3”) ne diviene il fulcro positivo o negativo, a seconda delle circostanze.

 

Difficile elaborare un progetto in grado di amalgamare il reale col metafisico com’è riuscito a ottenere il regista coreano; dalla sua uscita, premiata a Venezia 2004 con il Leone d’Argento, sono state redatte pagine e pagine di opinioni e interpretazioni, piuttosto eterogenee nei contenuti ma tutte con una loro dignità. Lo stesso autore, interpellato, è stato piuttosto laconico e criptico (come peraltro il film) limitandosi al concetto “siamo tutti case vuote e aspettiamo che qualcuno apra la porta e ci liberi”.

La domanda prioritaria riguarda Tae-suk: CHI E’ COSTUI ?

In parte per il fascino della pellicola e in parte per tentare, forse caparbiamente, di rispondere alla domanda, mi sono sorbito piacevolmente un discreto numero di visioni individuando particolari che mi erano inizialmente sfuggiti - e comunque non sufficienti per pervenire a una verità univoca - Mi sono dovuto saggiamente accontentare di interpretazioni ad ampio spettro.

 

La prima parte del film (quella “quasi” razionale) è parzialmente fuorviante in quanto potrebbe indurci a pensare Tae-suk come individuo reale ma…così non può essere! I primi tenui segnali di questa ipotesi K.K.d. ce li fornisce attraverso l’inusuale atteggiamento in occasione del ritrovamento dell’indigente anziano morto in casa; ma è in carcere che si palesa qualcosa di maggiormente esplicativo, ovvero le espressioni sorridenti e apparentemente fuori luogo di Tae-suk: sotto le botte dell’ispettore prima, e del secondino poi, quasi a voler dire:

“fate, fate pure, non sapete di non sapere!"

La certezza di essere al cospetto di un’entità alternativa verrà in seguito quando, dopo aver propinato una lezione all’esterrefatto secondino ritrovatosi scaraventato fuori dalla cella da quello che lui stesso definisce “un maledetto fantasma”, in forma diafana e immateriale rivisiterà le stesse case in cui era stato con Sun-hwa.

Consolidata questa verità, dobbiamo dedurre che nelle intenzioni di K.K.d., Tae-suk non fosse reale nemmeno nella prima parte quando, in carne e ossa, si relazionava normalmente (peraltro non sempre felicemente) con terze persone.

Le ipotesi possono spaziare dal prodotto della fantasia di Sun-hwa, il cui inconscio, frustrato dall’infelice situazione matrimoniale, potrebbe aver escogitato una soluzione autentica ma non patologica nella persona di Tae-suk (la cui figura non per nulla manifesterà caratteristiche in perfetta antitesi con quelle del violento e ambizioso marito), ad altre ipotesi qui di seguito esposte e non meno avvincenti.

Azzardando sulla spinta del simbolismo religioso, in parte velatamente ma volutamente presente nel film - alludo al crocifisso ripreso sullo specchio del primo appartamento visitato e, sul finire, come a riequilibrare la condicio, sul palmo della mano di Tae-suk l’occhio che per il Buddismo tutto vede, custode dell’umanità e risveglio interiore della parte spirituale – potremmo (tenetevi forte e chiudete gli occhi) scorgere un novello messia inviato per interagire con le situazioni più eterogenee, compreso l’incidente di cui è stato involontaria causa, ma con il sotteso compito di addossarsi la situazione Sun-hwa (da qui i 111 kg indicati dalla bilancia prima della riparazione, corrispondenti alla somma dei 65 kg di lui più i 46 kg di lei indicati dopo la riparazione) trasfigurandosi in quell’entità ectoplasmatica nei vari contesti, dove di lui si palesano gli effetti della presenza ma non la sua immagine riservata ai soli occhi della rinata Sun-hwa.

E’ lecito pensare a qualcosa di predetto a monte? E da chi? Una risposta certa non c’è, ma gli ultimi fotogrammi prevedono un impatto emotivo non indifferente, oltre che esplicativo, attraverso l’ago della bilancia a indicare la massa dei due pari a zero!

D’altra parte i “segnali” voluti da K.K.d. ad avvalorare questa o altre ipotesi, se non ultraterrene almeno “poco” terrene, non sono pochi: dagli occhi del ritratto del pugile alla cornice vuota in casa del fotografo, dai cuscini del divano dell’unica casa pregna di positività (motivo della visita solitaria di Sun-hwa che su quel divano rivive le precedenti emozioni ), alle eteree - seppur poco limpide nei confronti del marito - ultime sequenze, dove la fluttuazione tra ciò che è reale e ciò che non lo è viene esplicitato dalla mdp che riprendendo l’indietreggiare della ragazza si sofferma sulla parete. Su quest'ultima, prestando attenzione, si evidenzia la sola ombra di lei senza traccia apparente di Tae-suk nonostante lei lo veda fisicamente accostato. Pertinente preludio alla frase che di li a poco apparirà in sovrimpressione !

 

                                                                                             La questione ultima!

 

Questa, da sola, include non solo l’intento di Kim Ki duk di esporre il “Mistero” per antonomasia, quello solitamente snobbato dal nostro quotidiano “sopravvivere”, ma è altresì di stimolo alla meditazione, alla discussione e al confronto su un argomento intrinsecamente affascinante e nel contempo inquietante, comunque tutt’altro che banale.

L’opera di K.K.d. ci fa riflettere e esamina l’intimo del nostro animo, ma per noi è un esame sfuggente, non facile da valutare e valorizzare per quello che effettivamente pare siano le intenzioni del regista coreano. Tutto viene riassunto in quelle parole scritte in chiusura, parole la cui comprensione e discussione assurgono a prioritarie. A tal scopo ricorrerò al mio campo di interesse con nozioni forse non convenzionali ma, se lette con la giusta lente di conversione, potrebbero avere una loro efficacia atta a ben inquadrare il “peso” della frase in questione.

 

                                                           Le paillettes di fisica.

 

“Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia una realtà o un sogno”.

Questa è la frase!

Potrebbe sembrare retorica, e in effetti, al momento una risposta razionale non esiste, ma possiamo certamente affermare che implica la stessa valenza (e lo stesso fascino) di altre domande per le quali similmente non possediamo risposte razionali; ci limitiamo a osservarne gli effetti con tanto di prove teoriche e sperimentali. Si pensi alle equazioni einsteniane (fidatevi sulla parola) dove il tempo tende a zero man mano che ci si avvicina a velocità relativistiche, è forse facile per la nostra mente pensare ad un tempo “fermo” che non scorre?

E’ una realtà o un sogno? Si pensi che per la stessa legge un “secondo” del nostro sistema di riferimento potrebbe corrispondere a un’era in un altro sistema di riferimento; anche questa è una realtà o un sogno? Ancor più semplice e intuitivo quest’altro esempio: guardando attraverso un telescopio (capisco che non a tutti capiti spesso), una stella posta a qualche migliaio di anni luce potrebbe essere esplosa da secoli e non esistere più nel momento in cui noi continuiamo a vederla, quindi noi cosa vediamo? Un’immagine reale o un sogno?

Ve ne propongo una capovolta e inconsueta ma altrettanto possibile: immaginate una civiltà tecnologicamente avanzata, abitante un esopianeta in orbita attorno a una stella posta a 155 anni luce da noi (quindi relativamente vicina, ricordo che la nostra galassia possiede un diametro di circa 100.000 anni luce), bene: supponiamo che la loro tecnologia permetta la realizzazione di un telescopio ad altissima risoluzione, in grado di distinguere i particolari del  nostro sistema solare, e che questo telescopio punti casualmente il centro Italia dalle parti di...Teano! Si, avete azzardato bene, i nostri "vicini" alieni vedrebbero ADESSO la stretta di mano tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele! Un sogno o realta? Meditate e decidete voi.

Sono consapevole che tali considerazioni non siano propriamente in tema con il film, la Relatività non era sicuramente tra i pensieri del regista, ma le meditazioni che da esse possono originare sono identiche. Quanto ho riportato non è frutto di fantasia ma inscindibile da quell’universo (di cui noi siamo parte) intriso di misteri all’interno dei quali rientra a pieno titolo il quesito di K.K.d.

 

Ognuno di noi rappresenta a volte il pennino e altre volte l’inchiostro, e così restiamo in attesa che “qualcuno”, pilotando dall’alto l’incontro tra i due elementi, permetta e pianifichi la scrittura del nostro destino! (So cosa state pensando, ma questa l’ho coniata sul momento).

 

 

Permettemi di sostituire le mie considerazioni finali con una…

 

citazione del grande Albert in occasione della pubblicazione della Relatività Generale (assolutamente pertinente con l’opera di Kim Ki duc, è sufficiente sostituire la parola “volumetto” con la parola “film”):

 

“Non ritengo di aver defraudato il lettore di quelle difficoltà che sono insite nell’argomento, ho invece di proposito trattato le basi della teoria per evitare che al lettore poco pratico accada come al viandante che, passando tra gli alberi, non riesce a vedere la foresta. Possa questo volumetto procurare a qualche persona alcune ore felici di stimolante meditazione”

Albert Einstein, dicembre 1916.

 

Einstein era ebreo (non praticante) quindi chiudo in ebraico con: amen.

 

 

 

 

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