Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Il golf può essere uno sport violentissimo. E le quattro mura di una cella possono sprigionare la libertà dell'uomo. Molte cose sono ribaltate in questo film di Kim Ki-duk, che è certamente una delle figure più interessanti (è del 1960 e già da qualche anno fa opere degne di attenzione) del cinema degli ultimi anni. L'idea di partenza del film (il giovane, che non si sa chi sia, che entra nelle case vuote senza rubare niente), anzi, è una delle idee più geniali cui mi sia capitato di assistere. Non mi sembra, però, che qui il regista riesca a padroneggiare pienamente la materia, che forse avrebbe amministrato meglio in un corto o mediometraggio. Dopo un po', dopo una quarantina di minuti o poco più la storia si accartoccia su sé stessa e gli sviluppi successivi sembrano dei pretesti per tirarla per le lunghe. E il finale nel quale i protagonisti si dimostrano eterei, privi di peso, sebbene intelligente, puzza un pochino d'espediente, un po' come quando alla fine del film si scopre che il protagonista ha sognato (non è questo il caso, anche se potrebbe esserlo).
I due protagonisti sono bravissimi, in particolar modo Jae Hee che recita tutto il tempo con la propria espressione, senza mai pronunciare una parola, ma l'intera operazione sembra un estenuato remake terragno dell'"Isola", film di un fascino crudele nettamente superiore a questo, che resta comunque, al di là dei difetti che vi ho riscontrato, un buon film, originale ed autoriale.
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