Regia di Philip Kaufman vedi scheda film
C’era una volta un tempo (chi se lo ricorda?) in cui Kaufman era stato scambiato per un autore. Si ha il coraggio di pensarlo ancora? Non ne fa una giusta da quasi vent’anni. Terrore dallo spazio profondo, The Wanderers e Uomini veri restano degli ottimi film, ma di fronte a cose tipo La tela dell’assassino si fa fatica a dire qualcosa. In questo gialletto su una poliziotta e sui cadaveri che spuntano come i funghi in una San Francisco nebbiosa e scura (funghi che, per inciso, lei si è portata a letto), non c’è nulla per cui valga la pena, né la musica di Mark Isham, né gli interpreti, parata di bolliti da manuale (Andy Garcia non si guarda). Lei riesce a memorizzare individui e cose senza averli veramente visti, ed è per questo che è stata promossa, però non le viene neanche il sospetto che è il vino che ingurgita tutte le sere a provocarle gli svenimenti e i buchi di memoria, per i quali poi ha dei dubbi sulla propria innocenza. Evidentemente un film su cui si punta molto, tanto che nei titoli di testa si scrive “David Starthairn” e non il corretto “Strathairn”, ecco a cosa siamo arrivati. A proposito, l’originalità dei titolisti italiani è sempre in primo piano: dopo morse, ragni, tele vari, ci mancano solo bachi da seta e bruchi campagnoli.
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