Regia di Pieter Jan Brugge vedi scheda film
In ostaggio vorrebbe essere un thriller psicologico. Del thriller ha poco se si esclude il soggetto: il rapimento del facoltoso Wayne Hayes (Redford) da parte di un criminale per frustrazione, Arnold (Dafoe), i messaggi più o meno in codice, le trattative per il riscatto, la consegna del denaro, l’insediamento in casa degli agenti dell’Fbi, l’angoscia moderata della moglie dello scomparso (Mirren). Per fregiarsi dell’aggettivo “psicologico” sarebbe il caso che i personaggi fossero stati sottoposti ad un qualche scavo, se non profondissimo almeno che arrivi a cinque o sei centimetri dalla superficie dei tipi e dei ruoli acquisiti e messi in naftalina da milioni di fotogrammi pregressi. I 91 minuti del film sono distribuiti in un falso montaggio parallelo tra le pene familiari di chi aspetta il rilascio dell’ostaggio e un inaccettabile sequestro-trekking in mezzo ai boschi, con pediluvi nei ruscelli e confidenze inopportune: la sindrome di Stoccolma si trasforma nel girotondo di Cip e Ciop. L’inconsistenza drammaturgica denuncia la totale inesperienza dello sceneggiatore debuttante Justin Haythe e la ripetizione all’infinito dei primissimi piani (Redford ne esce triturato) mostra l’insipienza del regista esordiente Brugge (produttore di Insider, Bullworth, Heat, Glory) . Forse su quei set andava il cugino.
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