Regia di Jacob Aaron Estes vedi scheda film
Per punire il bullo ciccione della scuola, un eterogeneo gruppo di ragazzi (dai due protagonisti poco più che bambini fino a un sedicenne “ribelle senza causa” stile Matt Dillon) organizza durante una gita sul fiume uno scherzo feroce, che puntualmente finisce male. Mean Creek è marchiato a fuoco dal Sundance, più che un festival uno stile radical-snob. Così, per colpa di pretestuose soggettive in digitale (della vittima) e didascalici commenti in macchina, finisce per essere più importante che bello. Comunque da vedere, per le suggestioni molto puntuali (il viaggio, il fiume, il tranquillo weekend di paura ma in versione adolescenziale), e per lo scenario. Questi ragazzini sono i figli dell’America non metropolitana. Una generazione che ha due padri: gli ex yippie scoppiati e scappati in campagna, prigionieri delle pillole della felicità e dei tranquillanti; e i redneck che votano Bush e conoscono un solo linguaggio, quello della violenza. Il regista Estes, anche autore del soggetto, mostra come si sia perso il nesso tra “colpa” e “responsabilità”, per cui una società che odia Darwin e si riempie la bocca con la parola Dio, rendendola automaticamente vuota, impara in fretta, sin dall’adolescenza, come si possa sopportare la prima senza assumersi la seconda.
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