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Il figlio di Django

Regia di Osvaldo Civirani vedi scheda film

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La recensione su Il figlio di Django

di scapigliato
8 stelle

Con Gabriele Tinti e Guy Madison i buoni; Daniele Vargas il cattivo.
Tra le carogne c’è pure Luciano Rossi, e non è poca cosa. Il film di Civirani, al suo secondo western, sfrutta il nome del famoso e coevo Django corbucciano, per presentare al pubblico una storia cruda, truce e spietata. Nel suo unico western Gabriele Tinti è il figlio del Django del titolo e invece di mettersi al servizio di Thompson (Pedro Sanchez, ovvero Ignazio Spalla da Pistoia), che combatte contro il violento Clay (Daniele Vargas) anch’egli grande ranchero, preferisce restare da solo e vendicare il padre ucciso quando era un bambino. L’assassino, che nei flashback non vedremo mai in faccia, risulta essere Vargas che il protagonista lascerà alla legge invece che giustiziare. In questa anomalia si vede tutta la tensione esistenziale del film che gioca molto, causa la stagione di lavorazione, sui toni crepuscolari ispirati dal paesaggio autunnale della Magliana. Altra anomalia è il personaggio di Guy Madison che veste i panni di un prete pistolero, cosa che farà poco dopo con il celebre “Reverendo Colt” di Klimovsky. Questo personaggio, e il suo pistolettare contro i banditi, rese il film vietato ai minori: cose dell’altro mondo che possono accadere solo in Italia.
Il film è uno dei primi Spaghetti-Western e come tale gode della serietà dell’idea originale. É un film crudo, dai toni neri. Il personaggio di Gabriele Tinti è un pistolero roso dalla vendetta, tanto da congestionare il suo corpo e i suoi gesti come una tesissima corda di violino pronta a rompersi. Va per la sua strada solitario, rifiuta l’ingaggio degli uomini di Thompson, tra cui il caratterista Andrea Scotti, e rifiuta pure l’aiuto di Padre Flaming, il prete interpretato da Madison. Quasi autodistruttivamente va verso il suo destino convinto che l’orrore che ha vissuto, e che ora si porta dentro, gli permetterà di arrivare al vigliacco Clay e farsi così giustizia. Ma il finale ci spiazza, e invece di una sommaria esecuzione, che sempre ci lascia già di suo spiazzati: giusta o ingiusta?, vediamo una resa umana in cui il figlio di Django addirittura libera il cattivo Clay dalle corde che lo legano, appeso, ad una trave e lo lascia alla giustizia, alla ritrovata legge dello sceriffo ex-fifone ed ex-asservito al ranchero cattivo. C’è una bella e articolata sparatoria nel saloon che chiosa il film sprovvisto di duello finale, atipicità regolare negli SW. Certo avrei preferito che l’assassino del padre fosse Guy Madison e che i due si scontrassero così a duello. Ma le cose sono andate diversamente. Resta un bel film pieno di attenzioni alle scene di violenza come il pestaggio ad un allevatore che si ribella a Clay, e la tentata violenza finita in tragedia verso la moglie di quest’ultimo. Entrambe le scene sono accompagnate da un ulteriore soffocante musica in crescendo che fa della scena una tesa spirale verso un climax violento da cui non si può scappare.

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