Regia di Brad Anderson vedi scheda film
L’uomo senza sonno è il classico prodotto del marketing cinematografico che fa assurgere un film mediocre al novero di film sensazionale. Un po’ come il famigerato “The blair witch project” di qualche anno fa. È bastato infatti citare mostri sacri come Hitchcock, Kafka o Polanski per richiamare l’attenzione del grande pubblico.
Parliamoci chiaro, questo film non è un bidone, ma non è nemmeno quanto ci si vuole far credere. Premettendo doverosamente che la complessità della pellicola necessita di più di una visione, occorre comunque (indipendentemente dalle volte che l’ho visto) dichiarare che la trama de “L’uomo senza sonno” è avvincente. Perché ti tiene davanti al video con quel misto tra mistero e suspence che ti fa arrivare piacevolmente alla fine della visione. Certamente alcune sequenze sono polanskiane (L’inquilino del terzo piano), altre alla Tornatore (Una pura formalità). Ma soprattutto le musiche, particolarmente accattivanti, sono puramente hitchcockiane. Il personaggio, Trevor Keznich, è kafkiano per la cupezza del carattere e l’alone di mistero insito. Se si aggiunge poi la fotografia, cupa e sgranata al punto giusto, sembra quasi si stia parlando di un bel film. Cosa che in realtà sembra essere. Almeno fino al finale (alla “I soliti sospetti”) quando questo intricato puzzle trova una risoluzione. Ma dal nanosecondo successivo allo scorrere dei titoli di coda lo spettatore si chiede: “Ma… come mai Ivan…?”, oppure “E cosa centra Stevie…?”. Domande irrisolte. Perché “L’uomo senza sonno”, nonostante quanto di buono detto sopra, lascia davvero l’amaro in bocca per alcuni fili della trama che rimangono irrimediabilemente irrisolti. E non per colpa della poca lungimiranza dello spettatore, quanto per uno spocchioso vezzo di sceneggiatura: durante il film vengono disseminati una serie di elementi destabilizzanti che alla fine dei conti rimangono semplicemente delle trappole per spiazzare lo spettatore. Per tornare al paragone precedente col film di Singer, la scena in cui il detective Kujan riannoda tutto, ogni pezzo della storia torna al suo posto. E non ci sono fili sciolti o percorsi monchi. Tutto al contrario che ne “L’uomo senza sonno”, dove di trappole nella sceneggiatura ce ne sono eccome. Tanto da svalutare la seppur trama che poteva essere davvero interessante. Almeno fino a che lo spettatore non si ferma a riflettere, finendo per sentirsi preso in giro.
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