Regia di Joshua Marston vedi scheda film
L’esordiente regista americano, Joshua Marston, che viene dai documentari di guerra, indubbiamente è toccato dalla grazia. Visto che è stato capace di mettere su un film bello come Maria Full of Grace. Si tratta di una produzione statunitense, ma che poggia assolutamente su una sensibilità tutta latina, a cominciare dai protagonisti, finendo alla maniera di ‘documentare’ il disagio.
Dopo l’ottima accoglienza all’ultimo festival di Berlino, giustamente premiato come “Miglior Opera Prima”; il Premio del Pubblico al Sundance Film Festival 2004, il film giunge nelle sale italiane in un momento particolare, il Natale, in cui la cultura dominante cattolica riflette sullo stato di grazia, che appartenne alla Vergine. In realtà il titolo geniale, significativamente allusivo, rimanda a ben altra grazia. A quella che appartiene a Maria (l’esordiente ed eccezionale Catalina Sandino Moreno, Orso d’argento all’ultimo festival di Berlino), una ragazza colombiana impiegata in una fabbrica di fiori. Maria, abbandonato il lavoro perché sfruttata e maltrattata, è costretta a trovare un nuovo impiego per mandare avanti la famiglia (nonna, madre, sorella e nipotino) per la quale è l’unica fonte di sostentamento. La sua urgenza è ulteriormente aggravata dalla circostanza di trovarsi incinta. L’unica sua possibilità è di accettare di fare la “mula”, il corriere che trasporta droga in capsule da ingoiare e custodire nel proprio stomaco, fino a New York. Ma non è l'unica. Nel viaggio verso gli States incontrerà altre ragazze, anche loro con il loro prezioso carico ben custodito.
Si tratta di un film in cui ci si lascia prendere da un disagio irrisolvibile, che passa attraverso luoghi claustrofobici (la gola, la dogana, il budget ristretto) e che trovano un’unica possibilità d’uscita che sfocia nella ‘terra promessa’ (gli States). Marston sceglie la tematica dell’impegno, con uno stile asciutto, alla maniera di Loach, di Leigh, ma anche di Ripstein. Nessuna sbavatura. Tutto si gioca intorno e soprattutto all’interno della personalità dei personaggi, che pur essendo attori alle prime armi, si avvalgono di una solida sceneggiatura, di dialoghi incisivi, a cui si aggiunge un’approssimativa padronanza del mezzo meccanico da parte del regista.
Se nella prima parte a farla da padrone sono i continui e mai fuorvianti campi e controcampi registici, l’uso della fotografia sgranata e il reportage, nella seconda parte del film, la protagonista si erge a dominatrice assoluta della vicenda. Basta accorgersi di come Marston s’incolla su quel corpo ancora immaturo, ma ricco di grazia. Il suo sguardo non l’abbandona più. Il bambino che Maria porta in grembo da pochi mesi è una sorta di ossimoro, fragilità-forza, disincanto-speranza. Come non pensare al Figlio dell’Uomo, che “pur essendo di natura divina, spogliò se stesso assumendo la condizione di uomo”, all’Uomo-Dio, al Re-Suddito, alla Grazia-Disgrazia. L’allusione bellissima di Maria che ingoia droga come ostie consacrate, iconograficamente può apparire scandalosa, ma indubbiamente smaschera tanti falsi moralismi, che appartengono non solo all’America genuflessa dinanzi a corpi imbottiti di polvere, ma anche ad un’Europa, in cui vi sono Paesi che non hanno ancora posto la parola fine, per esempio, al ben altrettanto grave commercio di “materiale umano”, ancorché inerme in tanti corpi di donne, destinato ad essere utilizzato nell’industria farmaceutica o per altro.
Insomma, Maria Full of Grace è un film da non perdere, visto che miracolosamente (si tratta pur sempre di un altro tipo di ‘grazia ricevuta’!) il film è in programmazione nelle sale italiane. A proposito: come mai il titolo in inglese? Mistero che forse appartiene alla mancanza di ‘grazia’, da parte di chi tutela coloro che avrebbero potuto recitare l’Ave Maria, pensando magari a questo meraviglioso film. Non ci resta che dire “amen”. Giancarlo Visitilli
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