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Nemmeno il destino

Regia di Daniele Gaglianone vedi scheda film

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La recensione su Nemmeno il destino

di OGM
7 stelle

Figli di genitori sbagliati. Che si perdono. Non è vero che accade tutto per caso, e all’improvviso, Dietro ogni dramma c’è una storia. È sempre per gradi che si arriva alla decisione finale: alla scelta di andare via, di farla finita, oppure di restare e tentare, in qualche modo, di tirare avanti. Angelo, Ferdinando ed Alessandro sono adolescenti, ed hanno già compiuto un tratto del cammino. Lo hanno fatto insieme, con la leggerezza della giovinezza che, per un po’, riesce a sovrastare il frastuono interiore dei sentimenti feriti. Poco alla volta svanirà la loro voglia di scherzare, e si ritroveranno estranei e distanti, per poi separarsi per sempre. Daniele Gaglianone è un grande narratore dello smarrimento. È il cronista scrupoloso dei percorsi non voluti, che seguono traiettorie disordinate, per giungere a traguardi inattesi. Il suo raccontare è inquieto, disorientato, come le voci fuori campo che concitatamente si sdoppiano, o i flash del passato che si sovrappongono alle immagini del presente. Procede zigzagando, apparentemente senza meta, come le scorribande in motorino tra i pilastri di un vecchio capannone abbandonato, come una corsa che va verso il nulla, ed è priva di speranza. Cercare il senso, in questa vicenda devastata dalla tristezza, significa stare fermi a guardare, con il fiato sospeso, il movimento ondeggiante con il quale i significati sfuggono, subito dopo averci dato l’illusione di volersi formare. Il destino fa proprie le promesse mancate di un padre e una madre che non si sono dimostrati all’altezza del compito, che, loro malgrado, sono venuti meno al dovere di fornire riparo, sostegno, protezione. Ferdinando è stato allevato da un uomo il quale, dopo aver visto morire tutti i colleghi ed amici a causa dei veleni respirati in fabbrica, è diventato un vagabondo dedito all’alcol. Alessandro è nato da una ragazza orfana, che non ha mai superato il trauma di quella gravidanza precoce, di quell’amore imposto con la forza e mai corrisposto. Lo sfondo delle esistenze di quei ragazzi è una parete friabile di affetti negati, falliti, distrutti dal dolore della sconfitta. E tutta la sostanza delle loro vite si sgretola, mano a mano che, alle loro spalle, lo scenario si riempie di silenzi, di buchi, di mancanze che erodono ogni residuo di sicurezza. Intanto nel film monta lentamente l’onda lunga dell’incoerenza, sovrastata da una spuma di follia che a tratti bagna il quadro con un improvviso fiotto di lacrime. La sofferenza si dibatte nell’animo, e si trasforma in disagio, prima di acutizzarsi in tragedia o cronicizzarsi nella rassegnazione. Il cinema di Gaglianone ha la pazienza di spiegarci per filo e per segno il decorso di questa malattia, i cui sintomi variano da persona a persona, e che, in ogni caso, induce a rinviare l’idea della pace ad un momento che non arriverà mai. 

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