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Gangsters

Regia di Olivier Marchal vedi scheda film

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La recensione su Gangsters

di degoffro
8 stelle

Ad essere poliziotto ci si imbarca verso il nulla con l’intenzione di perdersi!” Il poliziotto Frank cita questa frase che il padre, a sua volta poliziotto, trovato poi suicida da lui stesso tredicenne, era solito ripetergli. Mi pare che il pensiero esprima piuttosto bene l’opinione che il debuttante regista Olivier Marchal ha della sua vecchia professione. Evidentemente Marchal ha più di un sassolino da togliersi dalle scarpe visto che il ritratto che esce dai suoi film di chi dovrebbe principalmente assicurare alla giustizia i criminali è tutt’altro che lusinghiero. Lavoro durissimo, stipendio da fame, turni massacranti, rivalità spietate: la tentazione del denaro facile e dalla provenienza ben poco lecita per lasciare quella che viene costantemente definita una “vita di merda” è fortissima: “Hai mai varcato la linea? Però ci sei andato vicino. Adesso non ti resta che dare una sterzata ed uscirtene in bellezza!” così dice provocatorio Frank a Rocky, il rozzo e violento poliziotto che lo sta interrogando a suon di calci, botte, insulti e pugni. Se Lulu in “Legge 627” di Tavernier arrotondava facendo il regista di matrimoni e feste, in “Gangsters” si procede a ben più lucrativi furti di diamanti che, purtroppo, portano ad una carneficina. Frank (“Ha fegato e i coglioni al posto giusto” dice di lui il delinquente Petit Claude) con la complicità della collega Nina Delgado - “da maneggiare con la massima cura”  - di lei dice il suo capo Bastiani quando la presenta a Frank - proveniente dalla narcotici e, a sua volta, con problemi di tossicodipendenza, deve indagare sotto mentite spoglie (per farlo si è creato “un curriculum esemplare”), per capire se qualcuno dei suoi “naviga nel marcio”. Durante il lungo e violento interrogatorio a cui Frank e Nina sono sottoposti (“Abbiamo cominciato insieme e finiamo insieme!” dice la donna quando il collega le consiglia di desistere), molte verità scomode verranno a galla, perché “la merda puzza e te ne accorgerai quando ci cascherai dentro!”. Al suo primo film Marchal offre uno spaccato desolante e dolente di un mondo che fatica a restare nella legalità. Ad un certo punto Rocky sbotta verso Frank: “Qui non sei in un posto come gli altri. La deontologia ed il rispetto dei diritti dell’uomo qui non contano. Sei nel culo di Parigi con dei guerrieri pagati per far regnare l’ordine e la sicurezza. E’ così da anni e non siamo in molti a voler restare in prima linea. E’ come se non esistessimo per nessuno!” Il regista dimostra subito di avere polso robusto ed idee chiare costruendo un film dalla tensione implacabile e dal ritmo serrato pur se incentrato quasi interamente sul doppio interrogatorio che coinvolge Frank e Nina. A convincere è la schiettezza e la credibilità con cui Marchal mette in scena “un mondo assoluto e ordinato: i morti sotto, i vivi sopra e noi nel mezzo!”, dove “noi” sta per poliziotti, classificati in due categorie: “quelli che risolvono casi e quelli che ricevono ordini”. Ottima la sequenza iniziale della rapina e della sparatoria, incisivi diversi dialoghi (“La verità non appartiene a nessuno: si condivide!” oppure “Il silenzio è il miglior avvocato dei morti.”), apprezzabile l’ironia di alcune situazioni (esilarante lo scambio tra i due poliziotti appostati fuori dall’appartamento dei due protagonisti in attesa di un’irruzione per arrestarli: “Cosa staranno facendo?” chiede uno “Quello che noi non facciamo più” replica l’altro e subito si vedono Frank e Nina amoreggiare appassionatamente), pregevole l’attenzione alle sfumature di psicologie ambigue e contraddittorie. Certo non ci sono Depardieu, Auteuil e Dussollier (Richard Anconina comunque funziona, mentre la Parillaud è di maniera, ottimi invece i comprimari), la sceneggiatura a tratti è affrettata (il modo in cui Frank si libera della guardia rubandogli la pistola per uscire dal commissariato mettendo sotto scacco i poliziotti lascia un po’ a desiderare), effettistica (il colpo di scena finale sull’identità del complice di Eddie Dahan, leggermente posticcio) e gratuita (la volgare provocazione di Rocky con Nina legata alla sedia davanti agli occhi di Frank), alcuni passaggi sono appena accennati e troveranno maggiore sviluppo nelle opere successive (penso per esempio alla rivalità professionale tra l’onesto Jansen, un tipo “freddo, distante, mai un sorriso” atteggiamento da lui spiegato come l’unico “modo per proteggersi dalla merda e dalle menzogne” con 15 anni di servizio e l’attesa di una nomina a commissario con conseguente aumento di stipendio per andare almeno a trovare moglie e figli negli States ed il corrotto e viscido Dahan – una sintetica frase pronunciata da quest’ultimo al collega durante un sopralluogo nell’appartamento abitato da Frank e Nina è comunque perfetta per inquadrare il loro rapporto “La sfiducia è mancanza di stima!”), i ripetuti flashback non sono gestiti con la necessaria fluidità, alcuni personaggi sono troppo defilati, manca quel senso di tragedia imminente che rende “36” un polar di straziante e coinvolgente intensità emotiva. Tuttavia “Gangsters” (d’impatto mi ha ricordato “Guardato a vista” e “La spiata” di Bob Swaim, sebbene non abbia memoria freschissima di questi due film) pur con i suoi difetti, resta un titolo interessante, venato da un cupo pessimismo che fa male. E’ affidata infatti al comandante Bastiani, nel finale, l’affermazione più dura e laconica a proposito del lavoro del poliziotto: “Sai che dicono di noi? Quello che fai non serve a niente!” Di fronte ad una presa di posizione così radicale ed amara acquista un senso ancor più preciso ed illuminante quanto sostenuto da Nina Delgado, a fare il paio con la frase che il padre di Frank soleva ripetere al figlio: “Si hanno sempre delle buone ragioni per andare verso il peggio!” E così il cerchio mestamente si chiude. Piccola curiosità: Richard Anconina e Anne Parillaud avevano già lavorato insieme in “Braccato” di Alain Delon. Delon ha girato il film presso la Polizia Giudiziaria di Versailles, quando Marchal vi lavorava ancora così che, di frequente, poteva sbirciare dalla finestra del suo ufficio lo svolgimento delle riprese.

Voto: 7+

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