Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani, Valentino Orsini vedi scheda film
Uno di quei film che più datati non si può, basato com'è su una proposta di legge del 1954 intesa a far passare alcune norme relative al divorzio in casi limite, ben illustrati dai cinque episodi che compongono il lungometraggio dei tre registi pisani. L'unica frase che ci rimanda all'oggi è quella pronunciata dal personaggio interpretato da Tognazzi nell'ultimo episodio (il più macchiettistico), quando rivolgendosi al vescovo dice «le autorità civili non vogliono interferire nella vita ecclesiastica, così come voi non influite mai sulla nostra», calcando l'accento su quel "mai" in maniera sarcastica. L'episodio più riuscito è unanimemente considerato quello ambientato in Toscana, interpretato dalla bella Scilla Gabel, nelle vesti (anzi priva delle vesti) di una moglie il cui marito è in prigione da dieci anni e lo tradisce con diversi uomini, finché il cognato la sorprende con l'ennesimo amante sopra un tetto e ve la rinchiude nuda per un giorno intero, esponendola alle intemprerie e al pubblico ludibrio. Il film si muove in un terreno scomodo tra Brecht (l'episodio di Valli e della Girardot), Bergman e Ferreri ed ha cadute di gusto ed impennate satiriche. Lodevole l'intento dei registi (nel 1963 il divorzio era ancora illegale, mentre l'annullamento davanti alla Sacra Rota era, come oggi, una strada percorribile soltanto dalle coppie blasonate), ma il film già all'epoca non fece scandalo come avrebbe voluto ed oggi appare irrimediabilmente invecchiato. Va detto però che sembra davvero fuori luogo l'accusa di Tullio Kezich che all'uscita del film (1964) scrisse che «il film non dice, per esempio, che la nostra legislazione matrimoniale in tutta Europa trova riscontro solo in tre paesi: Spagna, Portogallo e Andorra». La condanna dell'arretratezza italiana in campo matrimoniale da parte dei Taviani e di Orsini era lampante.
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