Regia di Raffaello Matarazzo vedi scheda film
L’erede di una cava di marmo ama una ragazza del popolo; la madre di lui briga per dividerli; lei si crede abbandonata e si allontana per partorire; la vecchia fa rapire il bambino e lo fa allevare in un collegio, mentre la giovane si chiude in convento; l’uomo si sposa, sua moglie scopre il segreto e anni dopo, quando il ragazzo ormai cresciuto viene a lavorare nella cava, lo rivela al marito; troppo tardi: il ragazzo muore per l’esplosione di una mina. Trama assolutamente folle, che non trascura nessuno dei luoghi comuni del genere melodramma (amori contrastati, figli illegittimi, monacazioni come fughe dal mondo, testamenti nascosti, riconoscimenti a sorpresa); ma proprio il ritmo incalzante con cui i fatti si susseguono rende il film appassionante e, insieme a un paio di altri elementi, lo fa preferire ai due titoli precedenti della trilogia matarazziana (Catene e Tormento): 1) il coraggio di arrivare a un esito tragico, senza escogitare soluzioni rocambolesche per salvare i buoni; 2) la presenza di un cattivo senza tentennamenti come Folco Lulli, vera anima nera della vicenda. A differenza che in Tormento, qui a tenere la scena è più Nazzari che la Sanson; non manca una parentesi musicale, con Giorgio Consolini che canta Mamma (e che altro?).
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