Regia di Alex Proyas vedi scheda film
Molti sono stati in passato i film che hanno posto al centro della loro attenzione il rapporto uomo-macchina, da Il pianeta proibito a Il mondo dei Robot, o ancora Robocop e Terminator, solo per citarne alcuni famosi e riusciti esempi. Io, Robot aggiunge ben poco a tale tradizione, perché punta quasi esclusivamente allo spettacolo e all’azione, si dimentica della (teorica) forza dei suoi personaggi e colpevolmente riduce all’osso eventuali possibili riflessioni filosofiche sul nostro prossimo. Certo, il film scorre via veloce quanto i suoi numerosi inseguimenti, e la vicenda che vede il detective “robofobico” Spooner nella Chicago del 2035, indagare sulla morte del più importante tra gli scienziati, alla vigilia di un capillare lancio di nuovi sofisticati robot domestici (… ma non solo) si segue tranquillamente, se non con vero piacere, almeno con discreto interesse.
Qualcuno dirà che mai in passato si erano visti robot muoversi così velocemente e con così tanto realismo. Va bene, ma è troppo poco. L’indubbio talento visivo evidenziato dal regista Alex Proyas nei suoi precedenti lavori (Il Corvo e Dark City), unito alla filosofia dei racconti dell’illustre Asimov, a cui il film in parte si ispira, avrebbero dovuto e potuto partorire qualcosa di meglio del consueto incolore blockbuster. E invece niente o quasi, il film non riesce mai veramente ad appassionare, a trasmettere vera commozione. E tantomeno, personalmente, a stupire, nonostante un largo uso (anzi, un abuso) di effetti visivi digitali, che alla fine al contrario finiscono quasi per stancare.
Più controllato del solito, ma incide poco.
Non rischia nulla o quasi, la sua regia meno personale.
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