Regia di Alex Proyas vedi scheda film
Un film come Io, Robot di Alex Proyas (Dark City, Il corvo) ambientato nella Chicago del 2035 e interpretato da Will Smith, quintessenza del divo cool per adolescenti di fatto e per adolescenti ripetenti, nella parte del detective Del Spooner, sospettoso sulla convivenza, apparentemente realizzata e priva di tensioni, tra umani e prodotti della robotica e indifferente ai rovelli della roboetica, si presta a una miniriflessione che ha quattro principali porte d’ingresso. La prima dà accesso alla stanza in cui i blockbuster estivi hollywoodiani, anche quando si ispirano a fonti letterarie di qualità (in questo caso i racconti di Isaac Asimov), sono da valutare in quanto prodotti-testi robotizzati. La seconda ci porta nell’area in cui i film sono gratificanti se guardati con gli stessi occhi con cui si guarda un documentario sui progressi della tecnologia degli effetti speciali. La terza conduce nel vestibolo angusto in cui la correlazione tra trame e dialoghi è materia da neofantascienza creativa. La quarta si spalanca nella cantina buia in cui i corpi scompaiono: dopo quella del set e quella degli attori si assiste all’eclissi del corpo della regia e del regista. Se non si vuole aprire una di queste quattro porte (potrebbero essere di più o di meno), il film può essere liquidato d’impulso o si può aspettare il 2035 per analizzarlo come fossile di una fantasia cinematografica d’annata.
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