Regia di Fatih Akin vedi scheda film
Vincitore un po’ a sorpresa dell’ultimo festival di Berlino, il film del trentenne Faith Akin sembra inserirsi in un filone abbastanza sperimentato e insopportabile, quello delle commedie interetniche che puntano sul pittoresco e sui superficiali conflitti di culture. Sibel, per sfuggire alla famiglia e poter scopare con chi le pare, sposa il recalcitrante Birol. I due si sono conosciuti in ospedale psichiatrico, dove si trovavano per aver entrambi tentato il suicidio: lei per i conflitti con la famiglia, lui per il lutto mai superato della morte della moglie. Sembrerebbe insomma una versione etnica delle classiche “commedie del rimatrimonio”, quelle col matrimonio per finta che alla fine deve diventare vero. Ma dopo un’ora il film ha una svolta mélo, che fa riandare la mente a vaghissimi precedenti fassbinderiani. I destini dei due innamorati sono segnati dalla violenza e dall’incomprensione, e anche il loro incontro a Istanbul sarà molto amaro. In questo modo, nonostante le astuzie della sceneggiatura e della regia, il personaggio di Sibel finisce col prendere corpo e avere una propria vita, grazie alla intesa fotogenia dell’attrice Sibel Kekilli. Il suo partner, un maledetto più tradizionale, è così messo in ombra dalla “sposa”, personaggio fuori dagli stereotipi, carico di dolente energia.
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