Regia di Michael Mayer vedi scheda film
Il tema era forte e coinvolgente, ma la regia risulta essere troppo piatta e molto edulcorata, incapace di restituire pienamente sullo schermo il bollente materiale che l'opera letteraria di Cunningham aveva messo a disposizione. Ci sarebbe stato bisogno di più “sangue” e soprattutto di un talento introspettivo meno da cartolina.
Un'occasione a mio avviso sprecata: il tema era forte e coinvolgente, ma la regia piatta ed edulcorata non riesce a scavare nella materia bollente che l'opera letteraria di Cunningham aveva messo a disposizione. Non è infatti sufficiente inanellare una raccolta di ottime canzoni per dare respiro a una storia che avrebbe avuto bisogno di più "sangue", e che invece rimane sospesa in un limbo di incertezze tutta giocata sul filo di una poesia che francamente Meyer non è capace di esprimere. Insomma una magnifica possibilità colpevolmente dispersa e impoverita che si arena nella inconcludente e sovente deficitaria descrizione non sufficientemente articolata dei contorti sviluppi di personalità disturbate e di traumi solo superficialmente sorvolati che avvrebbe avuto bisogno di un talento introspettivo meno da cartolina e più profondo, insomma di quel coraggio che manca al regista, di quella voglia di "incidere" vermanere senza timore di turbare le cosicenze. Meyer sembra invece che abbia paura di "scandalizzare" ,di "urtare" la suscettibilità, ed evita allora di visualizzare con la necessaria "passione" con la indispensabile introspezione, il racconto di un amore assoluto, per la verità un pò banalizzato dal solito triangolo che serve in parte a mascherare la vera essenza del dramma, in qualche modo a "normalizzarlo". Spesso la delicatezza apparente, nasconde l'indecisione, il compromesso, la voglia di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, e allora nonostante l'inevitabile trasporto emotivo che si insinua profondo (tutti vorremmo poter "amare" ed essere "amati" così, diventare l'oggetto di una "passione" così assoluta, vivere in prima persona quell'esperienza irripetibile e agognata che illumina ed esaltà laggiù... nella casa alla fine del mondo....) e la positiva, maiuscola prova degli attori (ma il personaggio più completo, quello che davvero tocca le corde più nascoste della partecipazione emotiva, della identificazione diretta e sofferta, che evidenzia impareggiabilmente il tema della diversità che è al contempo condanna e dannazione, qualcosa che ti segna e che non lascia scampo nè salvezza, è il contraddittorio, disturbante, controverso biondino occhialuto, splendidamente reso da Dallas Roberts che si eleva di molte spanne sopra tutti gli altri con una prova attoriale che riesce ad arrivare e a farci vibrare i nervi e il cervello, a mettere in movimento quelle coordinate nascoste che il regista non ha il coraggio di far emergere con la dovuta evidenza per la paura di "turbare e sconvolgere il perbenismo ipocrita che ci perseguita e avvelena" e di rompere gli equilibri imposti dalla produzione e dal mercato) Meyer purtroppo non riesce a districare del tutto la ragnatela dei rapporti e dei "trasporti" sentimentali, e arranca marcatamente in difficoltà lungo l'accidentato percorso di quella che diventa inesorabilmente una buona occasione perduta. Si esce per questo dalla visione con molto (troppo) amaro in bocca per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.... per tutto quello che ci è stato sottratto per incapacità oggettiva, o per semplice calcolo commerciale. Peccato!!! Peccato davvero.
Brava, ma il suo personaggio non è realistico...per risultare credibile avrebbe avuto bisogno di un entroterra più scavato, di un quadro generale che manca, e non è sufficiente la tecnica di perfetta resa attoriale a colmare il vuoto
Vera punta di diamante della pellicola: capace di commuovere e di far "innamorare" davvero
Coraggioso ad accettare la parte... ma abbastanza manierata la sua resa (a mio avviso non riesce a rendere fino in fondo ltutta l'ambiguità del personaggio)
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