Regia di Jean Delannoy vedi scheda film
Il primo dei tre "Maigret" interpretati da Jean Gabin. Un classico che non invecchia.
Lo stesso Georges Simenon ebbe a dire che Jean Gabin era l’attore che più si avvicinava al celebre commissario Maigret per come lo aveva immaginato. Un’opinione ovviamente autorevole e che condivido, anche se i buoni interpreti del personaggio non mancano, dall’italiano Gino Cervi a Jean Richard (interprete di una serie splendida serie televisiva dal 1967 al 1990, ambientata in tempi moderni), passando per la più recente e interessante incarnazione da parte di Bruno Cremer. Qui, però, siamo al cinema, per la precisione nel pieno di quel “cinéma de papa” tanto ed esageratamente inviso alla Nouvelle Vague. Certo, il film non brilla per originalità registica e gli esterni girati in studio appaiono assai datati. In compenso, la sceneggiatura è quasi ovviamente di ferro, Jean Gabin ci mette la griffe da par suo e i dialoghi di Michel Audiard rendono cinematograficamente impeccabile un testo letterario, quindi diverso dal linguaggio della Settima Arte e bisognoso di una vera e propria “traduzione”. All’ottima trasformazione del romanzo contribuiscono attori di gran classe come Jean Desailly, Annie Girardot e, nell’indovinato ruolo di poliziotto della squadra Maigret, un giovane ma già imponente Lino Ventura, che recita al fianco di un idolo della sua adolescenza. Chi si fa notare maggiormente, comunque, è Jean Desailly, assassino psicopatico morbosamente attaccato all’altrettanto schiodata madre. La sua tirata finale, quando crolla inchiodato dalla ricostruzione del commissario Maigret, è un pezzo di bravura, che non può non rimandare ad un certo Norman Bates... "Cinéma de papa" quanto si vuole, ma il talento di Jean Desailly non sfuggì a François Truffaut, che lo volle nel suo splendido "La peau douce" nel 1964.
Dei tre “Maigret” interpretati da Jean Gabin, considero questo il migliore, in un certo senso il più ruspante. “Maigret e il caso Saint-Fiacre”, diretto un anno dopo dallo stesso Jean Delannoy è forse più raffinato e merita la visione, ma Jean Gabin non ritrova la genuità e scioltezza di questa prima esperienza. Sul terzo Maigret/Gabin possiamo stendere un pietoso velo.
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