Regia di Robin Hardy vedi scheda film
Su un’isoletta scozzese arriva un poliziotto alla ricerca di una ragazzina scomparsa. Nessuno degli strambi abitanti del luogo sembra averla mai vista, ma, indagando, l’uomo scopre che la giovane è stata rapita per essere usata come vittima di un sacrificio umano. Coraggiosamente il poliziotto si infiltra fra i partecipanti al rito, per salvarla.
Questo film ha una particolarità piuttosto incredibile, al limite dell’assurdità: si tratta infatti di una pellicola di culto in madrepatria (Inghilterra), con un cast nel quale i nomi importanti non mancano, e che contemporaneamente non solo non ha alcuna reputazione dalle nostre parti, ma proprio non è neppure mai arrivata ufficialmente, a distanza di svariati decenni. The wicker man, titolo evocativo ed emblematico che si riferisce al gigante di legno protagonista del rito sacrificale al centro della storia, è un giallo-thriller dagli evidenti risvolti sociali che denuncia una decadenza dei costumi che procede di pari passo con una crescente malvagità d’animo, un’insensibilità proclamata e quasi ostentata. Qualche dubbio sulla tenuta logica del finale, ma in fin dei conti si tratta di una storia nella quale la logica è al servizio degli argomenti e non viceversa. Il regista è un esordiente: Robin Hardy, autore anche della sceneggiatura (da un racconto di David Pinner); se la cava bene in entrambi i ruoli, mettendo in scena una vicenda di montante ansia e dalle atmosfere pian piano sempre più grottesche; contibuiscono ovviamente alla riuscita del lavoro interpreti del calibro di Edward Woodward, Christopher Lee, Britt Ekland e Diane Cilento; in parti laterali anche Lindsay Kemp e Aubrey Morris. L’opera seconda di Hardy arriverà solamente tredici (!) anni più tardi: The fantasist (1986). 7/10.
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