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La vita che vorrei

Regia di Giuseppe Piccioni vedi scheda film

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La recensione su La vita che vorrei

di LorCio
7 stelle

Durante le riprese del film in costume La vita che vorrei, i due attori protagonisti, dapprima privi di alchimia, si innamorano. Con la “confessione” di Sandra Ceccarelli in primo piano che apre il film, Giuseppe Piccioni si propone da una parte come demiurgo di un’attrice che lui stesso ha contribuito a lanciare e dall’altra si proietta nel regista, interpretato da Ninni Bruschetta, che la sta provinando per una sorta di adattamento della Signora delle camelie. Su questa dicotomia, espressa anche nella coincidenza tra titolo di lavorazione e titolo del film, si fonda questo melodramma che bagna il naso a La donna del tenente francese per l’osmosi tra messinscena e vita reale, tra vita-che-vorrei e vita-che-potrei. Pur con qualche lentezza lungo i centoventicinque minuti che scorrono sottovoce, in nome di un minimalismo esistenziale che domina la vita (lodi alla fotografia fredda di Arnaldo Catinari, sonoro di Alessandro Zanon) in opposizione allo sfarzo estetico della finzione (scene di Marco Dentici, costumi di Maria Rita Barbera), tuttavia non funziona del tutto nella comunicazione tra le due parti al di là dell’espediente narrativo, non trovando una completa giustificazione alla dualità l’una in relazione all’altra e viceversa. Il racconto dell’ambiente cinematografico (su tutti l’agente Roberto Citran e l’attore fallito Paolo Sassanelli) ha un suo interesse ma qua e là rischia un po’ di autoreferenzialità tipica del cinema quando parla di se stesso. Come l’omaggio all’antico Matarazzo, re del mélo all’italiana, che si attua nei manifesti appesi nel camerino. Meglio l’asciutta Ceccarelli del pur finissimo Luigi Lo Cascio, però la migliore è la malinconica Galatea Ranzi. Sui titoli di coda Gianna Nannini reinterpreta Amandoti dei Csi.

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