Regia di Antoine Fuqua vedi scheda film
Se King Arthur porta una firma, è quella del produttore Jerry Bruckheimer. Il regista, Antoine Fuqua, ha realizzato quattro decorosi film d’azione, mentre Bruckheimer fa film pieni di clangori, battaglie, spirito di corpo e di sacrificio, ideali monolitici, missioni impossibili. Film “virili”, con buoni e cattivi, dove i buoni spesso sono dei bastardi, ma i cattivi sono selvaggi sanguinari (come qui i Sassoni) o politici corrotti (come qui i Romani). Peccato che Bruckheimer non abbia il minimo senso della sfumatura, altrimenti sarebbe riuscito a resuscitare il cinema epico; ma i suoi film soddisfano solo quando si affida a un regista più tosto di lui (per esempio, Ridley Scott con Black Hawk Down). Purtroppo King Arthur è fiacco e pomposo come un Tv movie, disseminato di interminabili dialoghi filosofeggianti tra i cavalieri, rintronato da una musica tambureggiante e aulica, impreziosito da flou, carrelli, dolly, segnato da un fastidioso look finto-povero. Le sue foreste sono senza mistero, le sue battaglie senza pathos (a parte le citazioni inflazionate dall’Aleksandr Nevskij e dall’Enrico V). Dimenticate Artù e i Cavalieri della vostra infanzia e il brivido erotico ad essi collegato (Lancillotto e Ginevra, qui, non hanno nessuna relazione, al massimo uno sguardo da lontano); ma dimenticate anche la barbarie e il nero primitivo di Lancillotto e Ginevra di Bresson e di Excalibur di Boorman, dai quali King Arthur ruba a piene mani, ma senza suscitarne una minima eco.
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