Regia di Eugenio Cappuccio vedi scheda film
Un divertissement cabarettistico - a dire il vero un po' stagnante - è la veste blandamente grottesca di un amaro ritratto della realtà produttiva del terziario nell'Italia settentrionale: questo settore, con l'imperversare delle multinazionali, è ormai ridotto ad un dedalo anglofono che stritola, a tutti i livelli, le vite e le professionalità di chi vi opera all'interno. La critica è esplicita, aperta e circostanziata, però sembra confinata in una bolla di aria caldiccia, non abbastanza fresca per la satira, né abbastanza rovente per il dramma. Il gergo aziendale tenta qualche affondo comico, ma senza andare a segno, e gli stacchi sulla movida milanese servono solo a Cristiana Capotondi per esibire i suoi sforzi di recitazione. L'opera resta complessivamente avviluppata in un'atmosfera ovattata da acquario, tra monitor in stand by, sale riunioni insonorizzate ed ascensori silenziosi, che innaturalmente escludono il brusio dell'ambiente esterno. La storia di Marco Pressi, addetto alle risorse umane, e dei dipendenti che, per contratto, deve licenziare, sembra così relegata in un luogo anonimo, irreale, e fuori dal mondo: invece, purtroppo, appartiene alla quotidianità e prosegue, dolorosamente, nelle case e nelle famiglie dei lavoratori. A cosa puntasse Eugenio Cappuccio con questa confezione rarefatta e astratta non è chiaro: il tutto si risolve, di fatto, in un distacco che non è obiettività e in un'essenzialità che non è pregnanza.
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