Regia di Eugenio Cappuccio vedi scheda film
Un ottimo film italiano dei nostri tempi sul capitalismo. Che qui trova infatti, ben raffigurati, tanti suoi caratteri: la amoralità e l’immoralità, in quanto avere principi morali sarebbe un ostacolo per il suo perseguimento, del profitto appunto senza freni morali; la menzogna sistematica (il motto dell’azienda è “Le persone prima di tutto”); l’inganno (l’azienda sfrutta l’ambizione individualistica per ottenere i propri scopi di fatturato, per poi disfarsi anche degli stessi mostri che ha creato e che ha sfruttato, fingendo indignazione e stupore); il “tutti contro tutti, ognuno per se stesso” (l’individualismo sfrenato che porta a salvare solo il proprio interesse, quando le difficoltà, gli errori, le prepotenze e i crimini vengono a galla); l’ansia (questi capitalisti vivono tutti male, divorati dall’agitazione; non possono mai fermarsi, né godere in modo autentico di nulla di bello, tanto sono assediati da scadenze produttive che impongono la rinuncia a qualunque altro aspetto dell’esistenza); l’orrore morale (in nome dell’individualismo capitalista si giustificano anche le colpe più raccapriccianti: sfruttare difficoltà legati a tumori o alla ludopatia…); il cinismo (netto scarto tra l’umanità asserita delle proprie azioni da parte dei capitalisti, e la loro disumanità: per il profitto si passa sopra alle peggiori nefandezze, come di fronte alla condanna all’altrui disoccupazione, o alla condanna all’altrui tristezza, per via della perdita di significati, valori, relazioni, connessa alla perdita inattesa e indesiderata del lavoro…).
Ciò è proposto in modo intelligente anche perché non c’è traccia di semplificazione ideologica. Non si esagerano i meriti dei lavoratori: pure loro vengono mostrati, oltre che nei pregi, nei loro difetti, il che però non ne giustifica la lesione dei diritti fondamentali.
Pregevole, e del tutto realistica, è la raffigurazione della Milano di allora (2004, chi scrive appartiene proprio anche a quel mondo): in epoca precrisi, era ancora un mito per chi voleva affermarsi e divertirsi, pur, magari, sapendo Milano offrire ben meno di quanto sperato. Uno dei crocevia preferiti era la laurea in economia, che fra Bocconi e Cattolica (senza dimenticare la Statale), offriva gli strumenti tecnici anche, se non soprattutto, per creare i presupposti del proprio tornaconto, indipendentemente dal fatto che ciò tornasse a danno di altri (o di quasi tutta la società, come è accaduto, e accade, ed è vero).
Lo squallore di molti di quei rapporti milanesi (e specialmente di quelli più diffusi), privi di umanità autentica, di spontaneità apprezzabile (terribile, per quanto è finto e asettico, il “Ti stimo molto” che ricorre di continuo) in quanto semplice cioè non artata, di valori morali degni di tal nome, di almeno lontana simpatia (i nomignoli che si danno da tempo i milanesi non sono quasi mai empatici, come qui il “pressinho” o “il muerto”) , sono ben fusi nella figura del protagonista: che non riesce ad avere rapporti umani gratificanti, ed è detestabile, freddo, egoista. La tristezza gli permette come valvola di sfogo solo un’alternativa: drogarsi di lavoro, un lavoro che però contribuisce coscientemente al male della società, pur di non pensare allo schifo umano che fa che è (e che, per fortuna, alla fine si mostra come qualcosa che non si può più ignorare, e cui bisogna rimediare senza compromessi). Può spaventare, ma Milano (che da oltre un secolo appare sempre la creme d’Italia, e che vuole accreditarsi come tale; ma i cui abitanti non vogliono mai riflettere sui mali della propria tradizione, specie recente) era così; ed ancora oggi, è così, soprattutto, una delle capitali del capitalismo occidentale (e in Italia senza dubbio ne è la portabandiera).
Splendida, profonda, la sceneggiatura di Lolli, che torva in Pasotti un interprete eccellente in una parte assai complessa. Ritmo veloce. Quanto al resto, sotto il profilo tecnico, questo film di Cappuccio lascia a desiderare: la recitazione è mediamente di basso livello (per quanto credibile sia la traccia milanese, nella cadenza oltreché negli ambienti); fotografia, montaggio e il resto non brillano.
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