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Vento di terra

Regia di Vincenzo Marra vedi scheda film

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La recensione su Vento di terra

di giancarlo visitilli
8 stelle

Ad ognuno la sua, di periferia. Periferia di vita, di domicilio, di prospettiva. Un andare verso. Comunque in periferia. Ricalcando la stessa strada del ritorno (Tornando a casa, vincitore del Premio della Critica a Venezia 2001), Vincenzo Marra, con Vento di terra, film premiato come Miglior Film della sezione Orizzonti alla 61a Mostra del Cinema di Venezia, rinsalda un legame a lui tanto caro: la realtà quotidiana degli abitanti delle periferie e il loro continuo e faticoso arrangiarsi a sopravvivere.
I luoghi sono gli stessi: i palazzi di Secondigliano, compresi i personaggi, sempre incalzati con la macchina da presa, ma comunque anonimi, ansiosi, insoddisfatti e muti, perché essenziali, oltre che volutamente sporchi.
Fra questi c’è Enzo, diciotto anni, che vive nel quartiere popolare napoletano con la sua famiglia, in un appartamento a rischio di sfratto. È un giovane introverso e solitario con lo sguardo fisso sui pensieri che lo attanagliano, soprattutto la morte del padre. Quando Enzo comprende che l’unica via d’uscita potrebbe essere quella di arruolarsi, lo ritroviamo in Kossovo in missione, per guadagnare un pò di grana da inviare alla sua famiglia. Tuttavia, Enzo non troverà nessuno che può aiutarlo a sopportare i colpi che la vita continua a dargli e solo la sua grande determinazione può permettergli di conservare la sua dignità e quella della sua stessa famiglia, all’interno di un quartiere-mondo che è come un luogo a parte, dotato di proprie ‘leggi’, codici e convenzioni.
Marra anche questa volta mostra di avere talento. Vento di terra é un’opera cinematograficamente matura, che ricalca l’opera neorealista tutta italiana (De Sica, Zavattini, Rossellini, Visconti e finanche Pasolini, per il modo di raccontare la periferia), ricordando il cinema di denuncia degli anni Settanta. Nelle sequenze iniziali ricorda molto La promesse dei fratelli Dardenne, ambientato però in luoghi più sudici e meno ‘riparati’ dal vento di maestrale.
In questo film, secondo il nostro modestissimo modo di vedere, c’è solo un qualcosa in più: la denuncia-scandalo dell’uranio impoverito, causa di malattia negli eserciti, nella parte finale della storia. Sarebbe stato interessantissimo che lo stesso regista avesse riservato tale argomento per un altro suo lavoro, visto che di “carne a cuocere” nella prima parte del film ce n’è già tanta. Ma conosciamo, comunque, la gran voglia di raccontare di Marra, senza l’utilizzo di formalismi di troppo, anzi, pochi, ma usati bene: le lunghe sequenze e le dissolvenze in nero. Come folate di vento ti sollevano, per poi ricondurti al buio della terra.
Il giovane regista trentaduenne anche in questo film mette insieme attori e non attori, per ricreare l’atmosfera tipica della periferia, che si combatte fra l’innocenza e la semplicità di chi è costretto ad obbedire a determinate regole dettate da una società sempre scissa da un suo centro.
Il maggior pregio del film sta proprio nella capacità di raccontare la crudezza di determinati spazi vitali e la precarietà che ormai ci accomuna, per mezzo anche di una bellissima fotografia luminosa, quasi accecante, ed un sonoro che esalta ogni sorta di rumori, tipici della periferia e della grande città.
Alla fine non risulta difficile notare come ognuno, compiuto il proprio viaggio, vi fa ritorno: gli operai della Fiat dalla casa alla fabbrica e viceversa; Enzo da casa al Kossovo e viceversa. Gli unici a non tornare sono i “servitori della patria”. In realtà si tratta dei tanti ragazzi costretti ad arruolarsi per porre rimedio ai morsi della fame e della povertà. E’ nel Kossovo, ed ora in Iraq, domani altrove che questi giovani abitanti della periferia si sporcano le mani fra le macchine da guerra. La maggior parte dei quali si ‘macchia’ a vita a causa dell’uranio impoverito, che non lascia scampo o via di ritorno, se non verso la tristezza dei miserabili funerali di stato.
Giancarlo Visitilli

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